Amare come Gesù
«Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”» (Gv 13, 31-33; 34-35).
Ecco da che cosa gli altri vedranno che siamo cristiani: dal fatto che ci amiamo gli uni gli altri come Lui ci ha amato. Un comandamento così importante che Gesù ce lo regala dal vertice della sua glorificazione. All’apice di tutto: della storia di Gesù, della storia dell’uomo, della storia del Padre con l’uomo. Da qui ci dona questo comandamento nuovo. Un comandamento talmente importante da essere ridondante anche nella sua formulazione sintattica. Poteva essere sufficiente dire: «Che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi». In fondo c’era già tutto in questa frase: l’istruzione di che cosa fare (amare), di chi è chiamato a farlo (io), verso chi farlo (gli altri) e il come farlo (a modo di Cristo). No, è talmente fondamentale questo comandamento nuovo che Gesù vuole ripetere nuovamente: «Così amatevi gli uni gli altri», in una ridondanza che trova eco nella ripetizione finale «se avete amore gli uni per gli altri».
Chi vive le relazioni familiari sa quanto sia impresa non facile vivere questo comandamento nella propria famiglia, nella coppia, con i figli e verso i propri genitori. Io e Chiara, insieme con altre tre coppie e due sacerdoti, proponiamo ogni settimana una catechesi sull’amore di coppia inserita in un percorso che si chiama Le 2 miglia. La seconda edizione di questo percorso si è appena conclusa ad aprile, con una quarantina di coppie che hanno partecipato dall’inizio alla fine (è un percorso un po’ lungo), alcune in presenza, altre online. Per me amare queste coppie, giovani o meno giovani che siano, è bellissimo e gratificante. Io di lavoro faccio lo psicoterapeuta, e seguo diverse coppie. Vi posso assicurare che amo profondamente, con tutto me stesso, ogni singola persona che accompagno e fare questo mi è facile. Per non parlare di quanto bene voglio ai miei amici e alle persone che frequento. Però, con tutte queste persone non condivido quotidianamente il bagno di casa mia, non ci mangio tutti i giorni assieme, non devo coordinare costantemente i miei impegni con i loro o scegliere e mediare ogni giorno decisioni che vanno dal che cosa si mangia a pranzo al dove si andrà in vacanza. Personalmente credo che l’area relazionale più complessa dove esercitare questo comandamento sia proprio la famiglia: amare mia moglie come ha amato Gesù, amare i miei figli come ha amato Gesù.
E come ha amato Gesù? Dimenticandosi di essere figlio di Dio, Lui stesso Dio e facendosi umile fino alla morte. Donandosi completamente a quell’umanità che lo ha appeso a una croce, lo ha tradito e rinnegato. Gesù ha amato senza mai smettere di annunciare la possibilità di una vita vissuta dal vertice del dono di sé, insegnando e mostrando il perdono, il farsi prossimo a chi è in difficoltà, la libertà dai beni materiali, il godere della presenza degli altri, la bellezza dell’ascolto intenso e attento ai desideri profondi del cuore e molto altro, di cui abbiamo anche scritto in questi anni sul «Messaggero». Prima di tutto è Lui ad avere vissuto tutto questo, a farci da modello.
Non so voi, ma io, con mia moglie e i miei figli, devo sempre ripartire da zero nell’imitare tutto questo. Io, di mio, non voglio morire, la mia vita me la voglio tenere stretta. Non mi sta bene stare nella parte del perdente, di quello che viene preso in giro, di quello che ha torto, di quello che non viene ascoltato, di quello che perdona tutto. Sento in me un irrefrenabile bisogno di giustizia, di far capire che il buono sono io, che la vittima sono io. Non mi sembra per niente giusto dare senza ricevere. Io certamente voglio amare mia moglie e i miei figli, ma da vincente. Li voglio amare da un trono e non da una croce, voglio che il mio sia un amore trionfante, riconosciuto, apprezzato e ripagato. Io mi ritrovo a desiderare che loro mi gratifichino perché li amo, non voglio la perfetta letizia di san Francesco, bella da raccontare ma pessima da vivere. Fuori di casa, anche se non viene apprezzato il bene che tento di fare, pazienza, ma in casa no, almeno i miei famigliari me lo dovrebbero riconoscere, mi dovrebbero gratificare in qualche modo.
Che fatica Gesù che mi fai fare con questo comandamento. Ogni volta mi costringi a guardarmi dentro e a convertirmi, a rimettermi in discussione, a riconnettermi a te e a ripartire per questa strada dicendomi: «Non importa che i tuoi figli non ti gratifichino, tu amali e continua a mostrare loro la strada per il cielo!», «non importa se tua moglie a volte se la prende con te in modi che ti sembrano ingiusti, tu amala da quella che ti sembra la tua croce! Come ho fatto io con te». Che bello, che liberante, poter amare come Gesù mi ha amato, però mi richiede un difficile governo di parti di me che vorrebbero altro. Caro lettore e cara lettrice, non metto in discussione i tuoi buoni propositi di amare il tuo coniuge e i tuoi figli, la questione è se lo fai a modo tuo o a modo di Cristo. Auguriamo a te, marito o moglie, padre o madre, figlio o figlia, la grazia di poter camminare sul sentiero segnato da Cristo, avendo auto-compassione per il tuo perderti e gioia piena nel tuo ritrovarti come discepolo dell’Amore.
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