Le strade di Bob Dylan
«Su venite, signori della guerra / dico a voi che create le armi (…) Viene da voi la paura peggiore / che si possa mai scagliare, / paura a portar figli in questo mondo. / Poiché minacciate mio figlio, / non nato e senza nome, / non valete il sangie / che vi scorre nelle vene». È una strofa (tradotta da Alessandro Carrera) di Masters of war (Signori della guerra), una delle più significative canzoni dell’ormai canuto (ha 75 anni) cantautore statunitense Bob Dylan. Si tratta di un inno contro la guerra che, a differenza della più nota Blowin’ in the Wind (Vola via nel vento), anch’essa icona di nonviolenza ma in forma più delicata, dà voce a una terribile rabbia contro tutte le guerre.
Di canzoni splendide, vere poesie in musica, Dylan ne ha scritte a decine negli oltre cinquant’anni di carriera. E, oggi, proprio quegli stessi testi gli hanno valso un Nobel per la letteratura, attribuitogli «per aver creato nuove espressioni poetiche nella grande tradizione musicale americana».
L’annuncio del Premio è stato dato il 13 ottobre, ma i membri dell’Accademia di Svezia, lo scorso 17 novembre, si sono sentiti rispondere che lui il premio (e i quasi 900 mila euro correlati) lo accetta di buon grado, anche se il 10 dicembre, a Stoccolma, a ritirarlo non ci va. Ha mandato solo un breve discorso di accettazione e ringraziamento che verrà letto durante il banchetto; Patti Smith, sua grande amica, interpreterà A Hard Rain's A-Gonna Fall, una delle più note canzoni del menestrello del rock.
Niente di nuovo per chi Bob Dylan, alias Robert Allen Zimmerman, lo conosce anche solo un po’ e ha da tempo rinunciato a incasellarlo in un profilo preciso. Perché Dylan, come da più parti è stato sottolineato, è «il più enigmatico tra i geni della musica popolare». Per cercare di decifrarlo abbiamo intervistato Alessandro Carrera, docente di Letteratura italiana alla University of Houston, in Texas, e autore di La voce di Bob Dylan. Una spiegazione dell’America (Feltrinelli). Profondo conoscitore dell’opera del menestrello del rock, il prossimo anno Carrera terrà anche un corso su di lui presso un ateneo italiano.
Msa. Professor Carrera, in tanti si sono meravigliati per il Nobel della letteratura a Bob Dylan. Carrera. Io un po’ di meno, perché so che è candidato dal 1997. Ogni tanto il comitato del Nobel dà dei premi bizzarri, che escono dai canoni della letteratura. Non è la prima volta. È successo negli anni ’50 con Winston Churchill per la sua storia della Seconda guerra mondiale. Nel ’98 con Dario Fo e ora è successo con Dylan. Nel caso di Fo (che si è spento lo stesso giorno in cui veniva dato l’annuncio del premio a Dylan, ndr) e Dylan è un ampliamento del concetto di letteratura in direzione dell’oralità.
Come legge il rifiuto a presenziare alla cerimonia del 10 dicembre? Dylan ha una lunga storia di vero e proprio terrore nel presentarsi in situazioni ufficiali. Questo fin dagli anni Settanta. Egli fa parte di una generazione, di una cultura che aveva per principio rifiutato tutto quello che sapeva di scuola, di accademia, di istituzione. Non ha mai finito neanche un corso all’università, proprio per quello. Quindi, trovarsi in situazioni dove invece bisogna seguire un’etichetta, un protocollo, per lui è sempre stato difficile, quasi terrorizzante. In merito girano parecchie storie, come sa bene chi conosce la sua biografia. Fin dal primo discorso che ha pronunciato in pubblico nel ’63, dove ha detto cose sbagliate, non si è fatto capire… E poi molti altri episodi, incluso uno nel 2000, molto noto: in quell’anno aveva vinto il Polar Music Prize, che è una sorta di Nobel per la musica. E anche in quell’occasione – andatevi a vedere il video sul web – dava l’impressione di uno che avrebbe voluto essere a mille chilometri di distanza. Comunque, se anche non andrà il 10 dicembre a Stoccolma, non vuol dire che non si presenterà mai a ritirare il Premio. Il regolamento, infatti, prevede che un candidato abbia sei mesi di tempo per ritirarlo. Ci sono stati altri scrittori scorbutici che non sono andati a prendere il Nobel, come Samuel Beckett.
(…)
Chi è davvero Bob Dylan? Potrei dire che Dylan è una sorta di reincarnazione dello spirito della Terra. Cioè della poesia che nasce – come diceva Federico García Lorca – dalla pianta dei piedi, non dalla testa, per poi salire in alto. Ed è la poesia che è nata dai contadini, dai migranti, dai neri usciti dalla schiavitù ma ancora discriminati e impoveriti. È una poesia che nasce dai poveri, insomma, non certo dalle accademie, anche se poi, magari, alle accademie ci arriva. Però Dylan ha sempre cercato di essere fedele a questo spirito della Terra di cui lui si è fatto in qualche modo portavoce e testimone.
Quale visione del mondo ci trasmettono le sue opere? È una visione dell’uomo senza fissa dimora, dell’uomo che cammina. L’immagine fondamentale delle canzoni di Dylan è quella di un uomo che esce di casa – ammesso che una casa ce l’abbia –, comincia a camminare ma non sa dove sta andando, eppure continua ad andare avanti, perché prima o poi da qualche parte arriverà. Questa è l’immagine fondamentale. Ed è per questo che i simboli più importanti in Dylan sono tutti simboli naturali, come la pioggia, il vento… Le sue non sono canzoni che danno l’idea di essere scritte tra quattro mura, sono canzoni concepite camminando.
(…)
In definitiva, quale immagine di umano ci restituiscono le canzoni di Bob Dylan? Dylan ha una visione pessimistica degli affari umani e pure una visione molto disincantata delle relazioni interpersonali, amore compreso. E anche se l’amore è una forza positiva nelle canzoni di Dylan, è altrettanto vero che si tratta di un amore sempre molto precario, che oggi c’è e domani magari no. Nel mondo di Dylan, ci sono davvero pochi punti fermi.
L'intervista integrale si può leggere sul Messaggero di sant'Antonio del mese di dicembre, nella versione cartacea o digitale: https://messaggerosantantonio.it/it/versione-digitale