Capitani, miei capitani

Avviato a Rovigo un percorso di autonomia per ragazzi con disabilità intellettive. Skipper e Marinai prenderanno il largo nel mare della vita, anche grazie a Caritas sant’Antonio.
05 Aprile 2024 | di

Dopo di noi

Dopo di noi

Sul campanello due cognomi improbabili, accanto a quelli degli altri condomini: «SKIPPER MARINAI», scritti proprio così, in maiuscolo (e con un cuoricino in mezzo, al posto della congiunzione). Intorno, il passaggio di pedoni con buste della spesa, bici al braccio e cani al guinzaglio, tipico dei centri storici delle cittadine venete al calar della sera. Siamo a Rovigo, nel cuore della città: la via principale, corso del Popolo, è ad appena 30 metri da qui. Che cosa c’è dietro a quel campanello strano lo spiega Leonardo Peretto, presidente dell’Associazione Down Dadi Polesine, costola dell’omonima associazione di Padova. «Proprio qui, dal giugno 2023, abbiamo avviato il progetto “Chiavi di casa”, un cammino di autonomia per ragazzi con disabilità intellettive. L’obiettivo è fare in modo che un giorno anche loro, al pari di tutti gli altri figli, possano spiccare il volo». Vivere in centro ha due vantaggi per un’esperienza come questa: «Permette di essere vicino ai servizi, specie a quelli di trasporto, e di vivere la città dal suo interno, frequentando luoghi, persone, attività». Un’autonomia che, però, va conquistata sul campo o, meglio, a bordo di una nave, visto che il processo per arrivarvi è scandito dai gradi del gergo marinaresco: si comincia da mozzi, si continua da marinai, per arrivare a esser skipper già capaci di governare la nave, e infine capitani, pronti a prendere il largo nel vasto mare della vita. 

Come una famiglia

Non resta, allora, che conoscere l’equipaggio. Saliamo i gradini fino al primo piano e bussiamo: dietro la porta s’intuisce una trepidante attesa, costruita con cura dalle due educatrici, Laura e Chiara. All’aprirsi dell’uscio, lo squarcio di luce nella penombra del corridoio illumina i volti di Anna Laura, 28 anni, ospite gentilissima, accorta, che ama chiacchierare. È una skipper «ma quasi capitana» chiarisce. Francesco, 30 anni, è un tripudio di gioia, è felice di questo incontro, come i pochi che ancora apprezzano le piccole cose; è un marinaio contento di esserlo, un uomo che sa attendere. Giorgio, 29 anni, è uno skipper dagli occhi azzurro mare e una sincerità disarmante, ti inonda dei suoi occhi perché vuole capire chi sei. Elisa, 33 anni, skipper pure lei, è la più guardinga, non ha ancora deciso se fidarsi o meno, ma gli occhi oltre le lenti schiacciate sul naso sono curiosi.

Nel soggiorno, il tavolo è imbandito di tutto punto: biscotti, bibite, un’allegra tovaglia di limoni e fiori. Rompe il ghiaccio Laura, una delle educatrici: «Li seguo dal 2020, quando l’esperienza era solo ad Adria. C’era il covid e solo un attento protocollo ci ha permesso di continuare. Questo gruppo non era ancora formato, e le convivenze avvenivano solo nei week end». Il passo successivo è stato quello di allargarle a tutta la settimana, a turno, perché non c’erano e non ci sono tuttora appartamenti sufficienti. «Il motivo era inserire nell’esperienza tutti gli aspetti della quotidianità – la scuola, il lavoro, lo sport, le attività ricreative, gli amici –, per avvicinarla il più possibile a una convivenza reale, in tutta la sua complessità. Vivere con loro è come far parte di una squadra, il progresso di uno è un successo per tutti».

L’appartamento a Rovigo, aperto anche grazie ai mobili offerti da Caritas sant’Antonio, è stato un passo fondamentale per i ragazzi che abitavano nella cittadina o nei paesi limitrofi, che così non dovevano più trasferirsi ad Adria ma potevano integrare nell’esperienza la loro città e il loro mondo di relazioni e attività. «Sei contenta di vivere in questa casa?», domando ad Anna Laura. «Non è una casa, è un appartamento» risponde lei, con grande gentilezza. Risata generale, lo sanno tutti che ama mettere i «puntini sulle “i”». C’è chi allunga la mano per un biscotto, ma Elisa lo richiama all’ordine: «Prima gli ospiti!». Anna Laura lavora per la cooperativa Ro.sa: «Imballo prodotti come garze, flaconi di integratori e vitamine». Francesco non vede l’ora di dirmi dove lavora lui. Gli occhi gli brillano: «Inserisco le sorprese negli ovetti di cioccolato alla cooperativa Il Girasole». La gioia che esprime sembra contenere la meraviglia dei tanti bambini che apriranno quegli ovetti.

È la volta di Elisa: mi guarda, ma fatica a trovare le parole. «Lavora in una biblioteca» interviene Giorgio. Elisa si arrabbia moltissimo: «Ecco, ha parlato lui!». «Ma in biblioteca si fanno tante cose! Hai ancora molto da raccontare» intervengo. Elisa si riprende e mi dice che fa le etichette per i libri, ricordandomi tutti i nomi dei bibliotecari e dei volontari, ai quali evidentemente è affezionata. «Ma deve sempre parlare lui!» conclude; non le è andata proprio giù. Giorgio spalanca i suoi occhioni e risponde con innata ironia: «Chiama la polizia!». L’impressione netta è quella di stare in famiglia, in un battibecco tra fratelli che si conoscono e si amano moltissimo. L’ultimo lavoratore è proprio Giorgio, che vuole darmi una prova plastica della sua attività. Va in camera e ritorna vestito di tutto punto, un copricapo nero vaporoso e un lungo grembiule vinaccia: «Faccio il cuoco all’Osteria della gioia», ne è orgogliosissimo.

Chiara, l’altra educatrice, li guarda con un sorriso complice: «Sono molto affezionati e premurosi tra di loro. Se qualcuno sta male c’è chi fa una camomilla e chi va a prendere una coperta. Li conosco da un anno, seguo solo il loro gruppo. Condivido con loro gli obiettivi e ogni giorno è diverso, come in tutte le famiglie. Si ride insieme, si cerca di tirare su chi ha una brutta giornata, si condividono gli interessi». Ma ciò che è più bello è che ognuno di loro porta a casa qualcosa di nuovo. «Il lavoro di Anna Laura l’ha resa più capace di ascoltare gli altri. E, giusto ieri, Giorgio, cucinando, ha cominciato a stropicciare la carta forno. Lì per lì sono rimasta perplessa, poi mi ha spiegato che è il modo migliore per farla aderire alla piastra. Piccole cose che ti fanno capire che stanno costruendo la loro strada».

Non sono tutte rose e fiori, però. Lo sa bene Leonardo, che è pure genitore affidatario di Anna Laura: «Oggi l’attività educativa e formativa è garantita per tutte le 24 ore, grazie all’impegno anche di due operatori socio-sanitari. Si lavora in équipe, ogni gruppo ha il suo psicologo e una volta al mese c’è un incontro di supervisione per gli operatori di tutti i gruppi. È un percorso complesso, non lineare, che ha bisogno di professionalità e di una logistica costosa. Il prossimo obiettivo sarà passare a una convivenza plurisettimanale. Ma occorrono altre abitazioni. Che cosa succederà quando il percorso finirà e non avremo più i finanziamenti delle Usl e della Regione...? I genitori da soli non ce la farebbero». Ma se il futuro può avere qualche tinta fosca, il presente è coloratissimo. Elisa si è alzata, chiama Anna Laura accanto a sé, proprio lei che sembrava un passo indietro. «Lo sai che siamo sincronette? – mi domanda –. Abbiamo vinto medaglie, vuoi vedere?». Le due amiche s’impegnano in un balletto improvvisato, le braccia aperte, come le ali di un gabbiano, i piedi a punta, disegnano arabesque nell’aria. 
Capitani, miei capitani, levate l’ancora, prendete il mare.

Segui il progetto su www.caritasantoniana.org

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Data di aggiornamento: 05 Aprile 2024

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