Far cadere i muri

Due voci danno luogo a una vera e propria conversazione, un dialogo tra un pastore protestante e un vescovo cattolico, l’uno in Marocco, l’altro in Algeria, Paesi in cui i cristiani sono una minoranza; ma proprio questa condizione «permette di ritornare alla sorgente per riscoprire [...] un cristianesimo che vive solo di una grazia incessantemente rinnovata». La prima riflessione condivisa riguarda lo stato di salute della Chiesa, spesso malata di autoreferenzialità e di clericalismo, sulla difensiva, che vuol accogliere gli altri senza lasciarsi trasformare dall’incontro, ma che «porta in sé una vita sulla quale la morte non ha alcun potere», che offre alle persone la «possibilità di vivere e sperimentare un tratto di storia con Cristo», ricordando che «Dio è già all’opera», il Vangelo ci precede.
«Una Chiesa che non è missionaria è una Chiesa dimissionaria», ma è importante distinguere tra missione e proselitismo: è questione di modo di porsi rispetto all’altro, che nel primo caso tiene conto della già presente ricerca di fede, della sua parte di verità, mentre nel secondo assolutizza la propria posizione. È un cammino che non si fa da soli, nel quale l’autorità non ha tanto la veste della superiorità quanto esprime «la capacità di ascolto per coinvolgere gli altri con la loro piena adesione». In questo modo, la Chiesa diventa un laboratorio: già come luogo fisico, offre uno spazio prezioso per fermarsi e per il silenzio, un servizio all’umanità, spesso presa da frenesia e frastuono; ma è anche un luogo di sperimentazione, in cui fare spazio all’inatteso, con la capacità di meravigliarsi di un bambino. Il testo rappresenta un’esperienza ecumenica, di fratellanza spirituale, fatta senza rinnegare né forzare le proprie convinzioni, ma facendo emergere «un fondo comune».
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