Il coraggio di una sosta
Invaghirsi. Certo, è forse una parola un po’ ricercata e non molto usata nel nostro linguaggio quotidiano. Vuol dire sentire il fascino, l’attrazione per qualcuno o per qualcosa; spesso succede senza conoscerne le ragioni. Di per sé «invaghirsi» rimanda a un certo senso d’indeterminatezza, di vaghezza interiore. Una miscela fluttuante di sentimenti che accende il desiderio verso una persona, ma anche verso una cosa, una realtà. Si può infatti essere invaghiti di una bella località, di un’opera d’arte, di un fiore speciale. Oppure si può conservare il ricordo suggestivo di un evento che ci ha affascinati.
Mi piace molto questa parola, perché custodisce il senso del mistero, di ciò che non si può esprimere bene a parole. «Invaghirsi» potrebbe richiamare l’idea di una certa superficialità, di scarsa ragionevolezza e ponderazione. Ma può rimandare anche a situazioni in cui si accoglie con cuore grato la sorpresa di qualcosa che proprio non ti aspettavi, che ha vibrato in te con intonazioni incantevoli, promettenti. Vorrei considerare i nostri stati di «invaghimento» con simpatia, perché a volte sono momenti magici che ci offrono l’occasione d’interrogarci per accogliere quanto ci accade come domanda sul futuro: «Che sia il momento di lasciar entrare nella mia vita qualche novità? Per allargare gli orizzonti? Per abitare spazi più luminosi?». Quali che siano tali novità, starà a noi cercare, intuire, concretizzare.
Sant’Antonio, spesso molto preciso nel commentare i passi della Sacra Scrittura, qualche volta sembra invece arrestarsi, rimanere sulla soglia, come invaghito da significati che risuonano in lui con un timbro delicato ed evocativo. Nella citazione «La bellezza del luogo, la grazia del fiore, la soavità del profumo ci trattengono: facciamo una piccola sosta. Il fascino di Nazaret non ci permette di proseguire» (II domenica dopo Natale, 12), il Santo vorrebbe dire qualcosa a proposito di Nazaret, località il cui nome significa «fiore». Tuttavia sceglie di non argomentare troppo. Prende piuttosto una via allusiva: bellezza del luogo, grazia del fiore, soavità del profumo. E aggiunge: facciamo una piccola sosta.
Mi ha meravigliato questo suo discorrere in punta di piedi. Nel flusso arruffato della nostra esistenza diviene vitale avere talvolta questo coraggio: fermarsi, inclinare l’orecchio al «vago», dare credito alla nostalgia dell’indefinito che chiama ad andare oltre. Non è perdita di tempo. È invito fecondo a custodire nella memoria fatti e situazioni che lì per lì non sono immediatamente decifrabili, ma che promettono qualcosa di buono. Occorre ascoltare e guardare con attenzione. L’«inutile», leggera bellezza di un tramonto «pesa» forse più di molti chili d’ombra.
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