Il posto giusto
Ognuno di noi vive nel mondo, tra le cose del mondo e, probabilmente, almeno una volta si è chiesto: sono nel posto giusto? La storia che stiamo per raccontare inizia proprio da questa domanda. È una storia fatta di piccole luci che, diremmo quasi miracolosamente, illuminano il cammino. È il 1994, in un minuscolo negozio nel centro di Brescia, Adriana vende bigiotteria pregiata. Per lei il tempo scorre tranquillo, finché la vita fa una virata improvvisa e i progetti che fino ad allora avevano definito il suo mondo, si dissolvono. È un momento di crisi profonda. Un caro amico la invita ad avvicinarsi alla fede e, durante una breve vacanza ad Assisi, le chiede di pregare per lui sulla tomba di san Francesco. La giovane donna lo ascolta; prega e affida la sua stessa vita a Dio affinché ne tracci il cammino.
Adriana torna a Brescia e dopo solo alcuni giorni nota un arcobaleno che termina sulla sommità della «chiesa del castello»; tutti i bresciani chiamano così la chiesa di San Pietro e il convento dei carmelitani che stanno sul colle Cidneo. «Quell’arcobaleno – racconta oggi – è per me, pensai, e così andai a vedere che cosa ci fosse in quel luogo». Adriana comincia a seguire la Messa domenicale in quella chiesa. Nota un capannello di persone che sempre si ferma dopo la celebrazione. Sembrano felici, ma lei si tiene in disparte. Un giorno si fa coraggio e chiede di parlare con uno dei padri carmelitani che custodiscono quel luogo: lui le spiega che c’è una comunità di laici che segue il carisma carmelitano. Decide così di provare a conoscere qualcosa di più di quel posto.
Inizia seguendo le catechesi sui santi carmelitani: Teresa d’Avila, Teresina di Lisieux e Giovanni della Croce. Ma nel cuore ha sempre quella domanda che non si spegne mai: «Qual è il disegno pensato per me?». Una famiglia tradizionale non l’ha costruita, ma piano piano cresce la consapevolezza di essere parte di una famiglia spirituale e, in cuor suo, sa che, da qualche parte, c’è una famiglia speciale che l’aspetta. Così racconta: «Gli amici padri carmelitani avevano appena avviato una missione in Romania e proponevano anche ai laici un percorso missionario. Dopo un primo sopralluogo, ho capito che quello era il mio posto! Il 21 gennaio 2003 lascio tutto e parto». La Romania usciva da un lungo periodo nel quale le Chiese, ortodossa e cattolica, erano state fortemente limitate nella loro azione pastorale dal regime comunista. Formalmente la religione era possibile, ma le restrizioni erano tali che di fatto impedivano la libertà di culto. In questo contesto sociale e culturale, Adriana inizia la sua nuova vita.
I primi tempi non sono facili. Il salto dalla bella Brescia alla Bucarest di quegli anni è enorme. Vive in un condominio fatiscente di otto piani, uguale a tanti altri costruiti durante la dittatura e sparsi per tutta la Romania. Gli appartamenti sono piccolissimi, le scale maleodoranti a causa dell’immondizia che si accumula in una stanza del seminterrato. Questa situazione di degrado e grigiore andrà avanti fino al 2005, anno dell’annuncio dell’ingresso della Romania nell’Unione Europea. Da lì in poi inizieranno piccoli segnali di cambiamento. Ma torniamo a quel 2003. Nel condominio c’è un appartamento in cui abitano otto ragazze orfane, delle quali si prendono cura alcune suore. In quegli anni gli orfani, non appena maggiorenni, venivano dimessi dagli istituti senza alcuna rete di protezione sociale. Adriana comincia a tessere i primi rapporti, a coltivare le amicizie. Tra le ragazze c’è Gabriela; la accompagna spesso nei suoi spostamenti e piano piano le si affeziona fino a scegliere Adriana come «mamma».
Il sentiero è tracciato
Insieme con i padri carmelitani, Adriana segue l’avvio di una casa di accoglienza per minori nella campagna vicino a Bucarest e si muove nelle varie città facendo catechesi. Tra le tante emergenze di un Paese che cerca di rifiorire dopo il lungo periodo che l’ha profondamente devastato, c’è proprio quella delle ragazze che, uscite dagli orfanotrofi, cadono nella rete di bande di profittatori che offrono loro lavori in fabbriche fatiscenti a condizioni disumane. «Nella maggior parte dei casi, la realtà ci ha mostrato che i giovani cresciuti negli orfanotrofi presentano evidenti carenze comunicative e relazionali, hanno un basso livello di autonomia personale e sociale. È facile cadere preda degli sfruttatori – spiega Adriana –. Nel 2011 Gabriela e io ci trasferiamo a Sârbova, un villaggio a pochi chilometri da Timişoara. Con alcuni amici volontari fondiamo l’associazione “Corte dei colori” e attiviamo un progetto di sostegno per ragazze che escono dall’orfanotrofio. Nel 2012 in famiglia arriva anche Petronella, pure lei vittima dello sfruttamento. Cerchiamo di capire come mantenerci: cominciamo con l’orto per poi vendere la verdura al mercato».
In casa c’è sempre un generoso via vai di volontari, racconta ancora Adriana: «Un giorno uno di loro mi porta in dono dei formaggi. Dice che li fa un’amica in Valcamonica. Allora penso: se si fa in Italia, si può fare anche in Romania». Adriana rientra quindi in Italia per qualche settimana: visita caseifici artigianali e impara a fare i formaggi. Torna in Romania e, grazie agli amici volontari, predispone un locale per la produzione. Il seguito è un misterioso intreccio di eventi che spianano la strada. «Tutti provvidenziali – confida –, come l’autorizzazione del servizio di medicina veterinaria. Oppure l’incontro con un tizio che è costretto a vendere le sue mucche perché ha bisogno di soldi per rifare il tetto di casa: io colgo l’occasione e mi offro di comprarle, a patto che lui le tenga nella sua stalla e dia a me il latte».
Intanto il piccolo laboratorio inizia con successo la produzione e distribuisce i prodotti tramite un’associazione locale, «ma se ci fosse un furgone attrezzato per portare il formaggio direttamente al mercato di Timişoara, l’azienda potrebbe crescere», pensa Adriana. Ed ecco ancora la Provvidenza. Un giorno si trova in un bar della città e confida questo pensiero al barista suo amico. Un avventore sente la conversazione: fa parte di un’associazione che finanzia opere sociali; le dice che da lì a una settimana scadrà il bando per un finanziamento. Adriana non si perde d’animo prepara il bando e quando si presenta di fronte alla commissione esaminatrice, ha con sé i formaggi: «Prima assaggiate, poi parliamo!», propone. Inutile dire come va a finire: ottiene il fondo e compra il furgone. La donna che vendeva bigiotteria a Brescia conosce bene le regole del commercio. La produzione ha una svolta, Adriana riesce ad assumere le ragazze e a fondare un’impresa sociale di inserimento lavorativo.
Nel 2018 Rosa e il piccolo Dorian entrano a far parte della famiglia. Nel 2021 arriva Diana, ha 21 anni ed è incinta, e ha una storia dolorosa alle spalle. Casualmente in ospedale Adriana incontra un cliente del mercato di Timişoara: è uno stimato ginecologo che, considerate le gravi fragilità della giovane mamma, si offre di seguirla fino al parto. Nasce Maria che, al momento in cui scriviamo, ha 9 mesi. Ora in casa sono in otto: da circa un anno, infatti, anche Luisa, volontaria italiana e vice presidente della «Corte dei colori», si è unita alla famiglia. Con lei è nata l’idea di creare un pastificio, così da poter assumere altre due ragazze.
Chiedo ad Adriana che cosa significhi per lei essere missionaria: «Testimoniare, con la mia vita, la bellezza dell’incontro con Dio, mettendomi al servizio degli altri!», risponde con lo sguardo sereno di chi ha trovato, davvero, il suo posto nel mondo. «C’è gente che Dio prende e mette da parte. Ma ce n’è altra che egli lascia nella moltitudine, che non “ritira dal mondo”. […] È la gente della vita ordinaria. Gente che si incontra in una qualsiasi strada. Noialtri, gente della strada, crediamo con tutte le nostre forze che questa strada, che questo mondo dove Dio ci ha messo è per noi il luogo della nostra santità. Noi crediamo che niente di necessario ci manca. Perché se questo necessario ci mancasse, Dio ce lo avrebbe già dato». (Madeleine Delbrêl, Noi delle strade)
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