Insieme ci si salva
Sono stati toccanti gli appelli di papa Francesco a pregare insieme durante l’emergenza Covid-19: il Rosario, il Padre nostro detti insieme, nello stesso momento, ciascuno nel suo isolamento ma uniti nella preghiera; la Messa del mattino da Santa Marta, accessibile a tutti. Preghiera ha la stessa radice di precarietà: non c’è tempo né motivo di pregare quando ci sentiamo padroni delle situazioni.
La nostra fragilità, improvvisamente evidente, ci fa comprendere invece che la vita e la morte sono compagne di viaggio, intrinsecamente connesse al nostro esserci. E che non bastiamo a noi stessi. Né bastano a salvarci le nostre meravigliose innovazioni tecniche.
Davanti a situazioni come le pandemie globali, che ruolo può avere la religione? Non può essere solo consolatorio, quasi magico. Lo scriveva già Romano Guardini: «Credere non significa soltanto contare su possibilità soprannaturali. Non significa cercare di aggrapparsi in alto quando il nostro aldiqua fallisce». La fede non è una certezza, un possesso, ma una «combattuta fiducia», in questo «deserto che chiama».
Fiducia e fede vengono da fides: corda, legame. La fede è una relazione, un affidarci che ci trasforma dal di dentro, rendendoci audaci. La scommessa non è identitaria, ma antropologica: in un mondo in cui la libertà ha preso la forma dello slegamento, questo tempo ci insegna che solo uniti si vive, solo il legame ci salva.
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