La lingua del Vangelo
La predicazione di Antonio è uno degli aspetti che i biografi del Santo mettono in luce maggiormente. Leggiamo, ad esempio, nella Benignitas (biografia di fine Duecento): «Dio lo aveva imbevuto di grazia tanto abbondante che la sua lingua faconda, per la voce chiara e dolcissima, come se egli fosse la tromba di Dio, era percepita e compresa da tutti». Una lingua, la sua, che ha saputo tacere raccogliendosi nel silenzio dell’eremo a Montepaolo, a Brive e a Camposampiero, ma anche parlare con grande eloquenza a dotti e a semplici, a devoti e a tiranni sanguinari. Uno strumento a servizio del Vangelo, che è stato preservato dalla corruzione, anche dopo la morte di Antonio.
Il corpo del Santo, dopo il suo trapasso, fu deposto in una cassa di legno, trasportato nella chiesa di Santa Maria Mater Domini e lì sepolto (17 giugno 1231). L’8 aprile del 1263, ottava di Pasqua, il corpo fu trasferito nella Basilica, eretta in suo onore dai padovani, e collocato in un sarcofago di marmo. Durante la celebrazione, presieduta da Bonaventura da Bagnoregio, allora ministro generale dell’Ordine dei frati minori, ci fu anche la ricognizione del corpo: era ridotto in polvere, ma si erano salvate le ossa e la lingua del Santo che, dopo 32 anni, come riportato dalla Cronaca dei XXIV generali, «fu rinvenuta così fresca e rossa, come il santissimo padre fosse deceduto in quell’ora stessa. Il devoto generale la prese con riverenza nelle mani e, il viso bagnato di lacrime, alla presenza di tutti i convenuti, le rivolse queste parole: “O lingua benedetta, che sempre hai benedetto il Signore e lo hai fatto benedire dagli altri, ora appare chiaramente che grande merito hai avuto davanti a Dio!”. E imprimendole teneri devoti baci, diede ordine che venisse custodita con onore in altro luogo».
Da quel momento, la lingua è stata oggetto di particolare venerazione, com’è testimoniato da molti elementi. Anzitutto, la festa della Traslazione, che si celebra ogni anno il 15 febbraio, è detta anche festa della Lingua; la data è legata alla traslazione del corpo del Santo del 1350, a opera del cardinale Guy de Boulogne, nella cappella dell’Arca in cui tuttora si trova. L’annuale celebrazione ha visto per molti anni una doppia processione per esporre la reliquia del Santo e riportarla nel luogo dove era collocata; in tale occasione, la Messa era solennizzata dalla musica con la presenza dei più celebri cantori, e la chiesa era addobbata sfarzosamente. Inoltre, era pure comandata l’astensione dalle opere servili e dagli affari; ad esempio, il 14 febbraio 1716, il podestà di Padova fece proclamare: «Dovendosi il giorno di dimani solennizar la festività della santa lingua del glorioso s. Antonio confessore, acciò sii venerata da tutti li fedeli et sii implorato il divino aiuto ne’ presenti bisogni, perciò commetemo a cadaun mercante, botteghier, et altri che tengono botteghe, debba quelle tenere serate sino che sarà finita la solennità stessa».
La premura per la venerazione della lingua ha determinato la produzione di reliquiari di grande pregio e valore; quello attuale, in cui è posta dal 1436, è opera di Giuliano da Firenze, maestro che si era formato alla scuola di Lorenzo Ghiberti. Altresì, la cura per la sua conservazione ha fatto stabilire, a fine Seicento, che la reliquia non fosse più spostata né portata in processione, come attestano disposizioni del Consiglio Cittadino, della Veneranda Arca del Santo e del Consiglio dei Dieci; in una di esse, la presidenza dell’Arca evidenzia l’«inconveniente ben grande che può succedere nel portarsi la s. Lingua del glorioso s. Antonio in processione il giorno della sua festività a causa dei tumulti che [...] sogliono accadere con pericolo evidentissimo che l’huomini che portano la carretta sopra la quale sta collocata detta lingua la lascino per timor cadere a terra». Da quell’epoca, vengono portate in processione altre reliquie, in particolare quella del mento.
Una moltitudine di persone è passata a venerare la reliquia del Santo, e tra loro non sono mancati anche alcuni santi, come Carlo Borromeo, Francesco di Sales e Teresa di Gesù Bambino, della quale una lapide posta in Basilica attesta che «il 12 novembre 1887 prostrata all’arca del Santo ne venerava le preziose ceneri e la benedetta lingua incorrotta».
La cappella del Tesoro è il luogo in cui ancora oggi è collocata la reliquia della lingua, la quale tuttavia si presenta di colore nerastro. Il fenomeno ha iniziato a verificarsi nel secolo scorso, forse anche per le misure di custodia prese durante i periodi bellici. In particolare, ricordiamo il nascondimento delle reliquie della lingua e del mento durante la seconda guerra mondiale, narrata dall’allora rettore della Basilica, padre Lino Brentari (cfr. Il Santo, 1981, fasc. 2, pp. 211-214). La notte del 2 ottobre 1943 fu scavato un vano profondo quasi un metro, in corrispondenza di un pilastrone che sostiene la torre campanaria della Basilica più vicina alla sacrestia. Le reliquie della lingua (nella sua urna di vetro) e del mento furono avvolte in un telo di lino e deposte in un fitto strato di bambagia all’interno di una cassetta di ferro, rivestita internamente di amianto e poi immersa in un bagno di cera, fasciata con carta catramata e sigillata. Infine, la cassetta fu deposta nel vano, riempito di sabbia e coperto con una soletta di cemento armato di circa venti centimetri. Dopo la fine della guerra, il 12 giugno 1945, le reliquie furono recuperate, e dalla domenica seguente (17 giugno), nuovamente esposte nella cappella del Tesoro alla pubblica venerazione.
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