La crepa nel sepolcro
Una volta io e un mio amico, facendo una riflessione su limiti, barriere architettoniche, strade dissestate, e chi più ne ha più ne metta, ci chiedemmo se una crepa in mezzo a una via possa sempre creare intralcio e rappresentare un vero e proprio inciampo. Fu in tale occasione che il mio amico, che vive da anni in Giappone, mi parlò del kintsugi – che letteralmente significa «riparare con l’oro» –, una filosofia ben radicata in Oriente da molti secoli e che affonda le sue radici in un’antica leggenda. Si narra, infatti, che Ashikaga Yoshimasa, ottavo Shogun dello shogunato Ashikaga, dopo aver rotto la propria tazza preferita, la spedì in Cina per farla riparare. Siccome all’epoca le riparazioni venivano realizzate con legature poco raffinate dal punto di vista estetico, Ashikaga Yoshimasa decise di affidare questa commissione ad alcuni artigiani giapponesi, i quali tentarono di impreziosirla, colmando le crepe con una resina cosparsa di polvere dorata.
Questa, che divenne col tempo una vera e propria forma d’arte, continua a venire realizzata ancora oggi, perché in terra nipponica si è fermamente convinti che un oggetto rotto possa diventare molto più bello di quanto non sia in origine. Metaforicamente parlando, ciò equivale a dire che ogni storia, anche se dolorosa e piena di «crepe», di «cicatrici», può diventare fonte di bellezza. Perché da una ferita è possibile ridare vita a quanto è stato danneggiato, e ogni crepa, intesa come punto di fragilità da nascondere, se riempita con l’oro, può creare una nuova forma piena di vita. Ecco allora che il concetto di crepa in questo caso abbandona la connotazione negativa diffusa nell’immaginario collettivo occidentale – dove ogni oggetto rotto viene gettato, perché irreparabile – per vestirsi di una nuova accezione, positiva, legata all’idea di bellezza e di arte.
Questo modo di guardare alle crepe riaffiora con forza anche durante il «triduo pasquale», i giorni nei quali i cristiani rivivono la passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo. In che modo? Se l’immagine del sepolcro, in cui viene riposto il corpo di Gesù deposto dalla croce, evoca l’idea di buio, chiusura e sofferenza, la risurrezione viene proprio a parlarci di una «crepa» nell’oscurità, una luce che passa attraverso una fessura portando con sé «nuova aria». Il suo «ruolo» è quello di «far passare» vita, speranza e cambiamento. Dunque, abbiamo sempre bisogno delle crepe, di «rotture» per ritrovarci e rinnovarci. Sia il kintsugi che la risurrezione (indipendentemente dal credo religioso) potrebbero rappresentare dunque anche una metafora della resilienza, un concetto molto presente in ambito educativo e pedagogico, e che spiega come per un individuo sia necessario affrontare fratture, crisi e cambiamenti per poter entrare in contatto con le proprie fragilità e limiti, dargli valore e, di conseguenza, prendere coscienza delle proprie risorse.
Allo stesso tempo la «crepa» è un cambio di prospettiva, una «sfortuna» che diviene un’opportunità: un handicap, ovvero una difficoltà che, a partire da strategie creative, può innescare processi inclusivi rendendo i contesti più accessibili a tutte e a tutti. In conclusione, allora, date più spazio alle «crepe» nella vostra esistenza! Auguro a tutti e a tutte una «nuova» risurrezione! Buona Pasqua.
Scrivete a claudio@accaparlante.it oppure sulle mie pagine Instagram e Facebook.
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!