La Rete di Trieste

All’indomani della 50ª Settimana sociale dei cattolici in Italia, un gruppo di amministratori pubblici ha cominciato a lavorare per un rinnovato impegno a servizio del bene comune, cristianamente ispirato. È nata, così, la Rete di Trieste.
22 Aprile 2025 | di

Chi l’ha detto che bisogna arrendersi a un’idea della politica sempre brutta, sporca e cattiva? Nel tempo della crisi profonda dei corpi intermedi, della personalizzazione delle leadership e dell’astensionismo dilagante, sicché il primo partito spesso è quello di chi non vota, qualcosa di nuovo sembra comunque germogliare. Ed è l’eredità più interessante della 50a Settimana sociale dei cattolici in Italia, che si è svolta l’anno scorso dal 3 al 7 luglio a Trieste, con mille delegati a confronto sul tema: «Al cuore della democrazia». Ad aprirla era stato il presidente Sergio Mattarella, mentre papa Francesco aveva celebrato la Messa conclusiva. 

Ma in quei giorni è successo anche qualcosa di nuovo: un gruppo di amministratori pubblici si sono «autoconvocati» a margine dei lavori, per capire se ci fosse lo spazio per un rinnovato impegno a servizio del bene comune, cristianamente ispirato. È nata, così, la Rete di Trieste, «un network trasversale e multipartisan», com’è stato chiamato, che prova a rilanciare l’idea di una politica da intendere, piuttosto, come «la più alta forma di carità», per dirla con le parole di san Paolo VI; o come «l’amore degli amori», secondo la bella definizione di Chiara Lubich. La bussola è la Dottrina sociale della Chiesa. E nel pantheon dei padri nobili ci sono personalità della caratura di don Luigi Sturzo, il cui celebre manifesto, l’Appello ai «liberi e forti», del 1919, fu uno spartiacque per i cattolici dell’Italia di oltre un secolo fa; Alcide De Gasperi, lo statista di cui è stata appena chiusa la fase diocesana del processo di beatificazione; il sindaco di Firenze, Giorgio La Pira; Vittorio Bachelet e Aldo Moro, giganti che hanno dato la vita per l’Italia, assassinati da mano brigatista. Dapprima si è formata una chat, che conta ora 800 partecipanti; poi sono seguiti incontri a Milano, Roma e Napoli; infine, lo scorso 14 e 15 febbraio, nella capitale, alla Domus Mariae sull’Aurelia, è decollata la costituente, significativamente chiamata «La Rete di Trieste. Perfino più di un partito», presenti in centinaia. 

Monsignor Luigi Renna, arcivescovo di Catania e presidente del Comitato organizzatore della Settimana sociale, aveva definito quell’autoconvocazione «una sorpresa dello Spirito», giunta dopo che le principali associazioni cattoliche, già due mesi prima della Settimana sociale, avevano lanciato insieme un appello per la pace come «ostinato e creativo dovere della politica». A firmarla erano stati: Azione cattolica, Acli, Agesci, Associazione italiana docenti universitari, Comunione e liberazione, Comunità di Sant’Egidio, Movimento dei Focolari, Rinnovamento nello Spirito, Movimento cristiano dei lavoratori, Movimento politico per l’unità, Ordine francescano secolare nazionale. 

I promotori sgombrano il campo dagli equivoci: il percorso che ne è scaturito «non intende portare alla formazione di un nuovo partito, né di una corrente o di una lobby. Vogliamo capire se su alcuni punti programmatici legati al territorio (per esempio: disagio giovanile, sostenibilità ambientale delle nostre città, welfare territoriale, casa, nuove forme di partecipazione) riusciremo a preparare una mozione comune con proposte precise, da presentare in tutte le Regioni e nelle 100 città capoluogo», dice il coordinatore della Rete di Trieste, Francesco Russo, ex senatore e attuale vicepresidente del Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia

Due i principi fondamentali: la trasversalità agli schieramenti e l’esperienza concreta, caratteristiche senza le quali l’iniziativa stessa, «nata dal basso», con ogni probabilità sarebbe presto destinata a esaurirsi. Il fulcro viene individuato nel concetto di partecipazione collettiva: papa Francesco a Trieste ha chiamato «a questa carità politica tutta la comunità cristiana», seppur «nella distinzione dei ministeri e dei carismi», con la raccomandazione «di avviare processi e non di occupare spazi». È da qui che passa un possibile nuovo protagonismo di quel cattolicesimo democratico, popolare e sociale, che tante volte è stato decisivo, in positivo, per la crescita del Paese. Purché sia fatto con autentico spirito di servizio, parola spesso strumentalizzata, e che invece invita a riscoprire la bellezza di un impegno gratuito in cui i migliori talenti possano spendersi con generosità, perché darsi da fare per gli altri è nobile. 

«Non si tratta di stare al centro, quanto di stare in mezzo. Non di essere neutrali, ma coinvolti. Perché la partecipazione non la si racconta, ma la si fa. Azione e pensiero devono alimentarsi a vicenda», ha spiegato, con parole molto efficaci, a Roma, Elena Granata, docente universitaria e vicepresidente del Comitato per la Settimana sociale dei cattolici, che aggiunge: «Impegnarsi per rinnovare gli strumenti della democrazia, che sta rischiando di trasformarsi in una democratura, restituendo loro credibilità, è un passo da compiere assieme». Ecco perché si rende necessario un patto tra donne e uomini di buona volontà, pronti a mettersi in gioco per affrontare i veri problemi del Paese, fuori dalle ideologie elettoralistiche e da un bipolarismo forzato. «Come cattolici non possiamo delegare ad altri, restare chiusi nelle rassicuranti sacrestie delle parrocchie, perché Dio si è fatto uomo, è entrato nella storia. La Rete degli amministratori può contribuire a realizzare quel rinnovamento e quello slancio ideale di cui oggi l’Italia ha estremamente bisogno», raccontano alcuni dei partecipanti che hanno voluto mettersi in gioco. Trieste, così, può segnare un nuovo avvio. Visione cristiana e cosa pubblica non sono due concetti antitetici. Anzi. 

Portando la «grande stima» del presidente della Cei, il cardinale Matteo Maria Zuppi, monsignor Renna ha affermato: «Ciascuno di voi incarna la profezia nel suo impegno per il bene comune, ognuno di voi è impegnato nel proprio territorio e ha le sue radici nella formazione cristiana. La prospettiva più ampia che ci accomuna è il bene del Paese, dell’Europa e del mondo. A questa ampiezza ci richiama la Dottrina sociale della Chiesa. Mi raccomando che la Rete di Trieste non escluda alcuno, ma coltivi l’intento di includere in maniera trasversale quanti amministrano la cosa pubblica e sono impegnati nella partecipazione alla vita democratica dei territori, avendo chiaro questo riferimento. Se siamo qui è perché quella dottrina ha inciso nelle nostre coscienze». 

Tanti gli esponenti dell’associazionismo presenti nella capitale per la costituente. «Al centro dell’agenda politica va rimessa la persona con la sua dignità», ha detto Giuseppe Notarstefano, presidente dell’Azione cattolica. «Don Primo Mazzolari ci ha insegnato che i cristiani sono per vocazione resistenti al male», ha sottolineato Paolo Ciani, leader di Demos e vicecapogruppo del Pd alla Camera. «Non c’è niente da vergognarsi a fare politica», ha rivendicato Claudia Porchietto, consigliere regionale di Forza Italia in Piemonte. «Azione educativa e impegno politico vanno assieme», ha osservato Francesco Scoppola, presidente nazionale degli scout dell’Agesci che si rifanno all’insegnamento del loro fondatore Baden Powell: «Lascia il mondo un po’ migliore di come lo hai trovato». Sono solo alcune voci.

Per il futuro, la Rete di Trieste ha l’ambizione dichiarata di rappresentare un luogo innovativo di fare politica. «Tanti si avvicinano a noi – sottolinea Russo – per lo stile inclusivo e trasversale di cui siamo giustamente e testardamente gelosi, per la scelta di confrontarci sulla concretezza di progetti di programmi, per il nostro rimanere ancorati alla centralità della persona e delle nostre comunità che ci viene dalla Dottrina sociale. Nelle prossime settimane nascerà un coordinamento provvisorio attraverso le segnalazioni che arrivano dalle reti regionali e lo strumento del sorteggio, che vuole ribadire come tra noi ci sentiamo tutti rappresentati gli uni dagli altri. Ma soprattutto lavoreremo per la “Giornata delle 100 città” in cui presentare, in contemporanea in tutto il Paese, la piattaforma di contenuti che insieme abbiamo discusso e scelto nei lavori di gruppo». 

La Settimana sociale, infatti, ha lasciato anche un nuovo metodo di lavoro, nel quale il contributo di ciascuno aveva concorso a determinare buone prassi nel solco del Sinodo. Un cammino che vuole continuare come segno di speranza per una nuova politica, nell’anno del Giubileo della speranza. Proseguire sulla via del dialogo, organizzare la partecipazione, trovare linguaggi comuni e azioni condivise, rappresenta un obiettivo senz’altro ambizioso. Forse, addirittura, più importante che fondare un nuovo partito.

Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»! 

Data di aggiornamento: 22 Aprile 2025
Lascia un commento che verrà pubblicato