La strada per Fatima
Sono andato a Fatima. A piedi. Cento e settanta chilometri. Le prime quattro tappe, tra Lisbona e Santarém, sono state monotone, piatte, polverose, noiose. Lo sapevamo. Ho pensato: «È davvero un cammino di fede». Non può che essere questa la ragione per incamminarsi lungo un percorso tra periferie, fabbriche, capannoni di logistica, una ferrovia e infinite distese di pomodori. Sono anche le prime tappe del «cammino portoghese» che conduce a Santiago de Compostela, molti saltano questo primo tratto e cominciano ben più a Nord, quando l’oceano regala una grande bellezza.
Solo dopo Santarém, quando si inizia a salire verso Fatima, il paesaggio diventa più dolce, accogliente e bello. So che nei giorni che si avvicinano al 13 maggio questo cammino si affolla di pellegrini che si dirigono a Fatima nell’anniversario delle apparizioni della Madonna. La prima avvenne nel 1917. Per sei mesi, tra maggio e ottobre, sempre nel giorno 13, dette appuntamento ai tre pastorelli analfabeti, Lucia, Jacinta e Francisco, sulla collina di Cova de Iria. Ebbe inizio così: tre ragazzini, il gregge delle pecore da pascolare, e «una signora vestita di bianco» che compare sopra un alberello. Solo Lucia potrà parlare con lei. La fede e il mistero dell’apparizione attraverseranno tutto il ‘900. Secolo breve e terribile: nel 1917 l’Europa era sconvolta da una guerra atroce, il Portogallo viveva anni di contrapposizione tra rivoluzioni e controrivoluzioni, scontro frontale tra governo e Chiesa, grande povertà nelle campagne. La devozione popolare fu subito fervente. A migliaia già accorsero per assistere all’ultimo incontro dei tre bambini con la Madonna.
Sono arrivato a Fatima senza aver letto, senza sapere niente. Con molti pregiudizi. Ma volevo arrivarci. Stanco dei chilometri, prima di entrare in città, mi sono seduto in un bel bar all’aperto. Una limonata fresca. Con la menta. Dolce, aspra, buona. Ho ricordato un’altra limonata, nel caffè di Husssein, a Gerico, in Palestina. Mi sono chiesto perché questa città santa alla Madonna si chiamasse con un nome musulmano. Fatima, Fatima bint Muhammad, era l’unica figlia di Maometto, «colei che permette la rivelazione di Dio». Ho scoperto che qui una principessa araba conobbe un cavaliere templare e si convertì al cristianesimo. Fatima mi è apparsa ecumenica.
La spianata del santuario è immensa, alcune donne e un giovane stanno camminando sulle ginocchia lungo una «corsia» bianca per arrivare, così, alla Capela das Aparições. È faticoso, perfino doloroso. Decine e decine di persone sono in fila, sotto il sole, per offrire e bruciare candele e piccole statue di cera. Ci sono pellegrini provenienti da ogni lato del mondo. Leggo che ogni anno sono almeno sette milioni. Le apparizioni ai tre pastorelli hanno provocato un culto, una devozione mondiale, capace di conquistare semplici fedeli e cardinali. Quattro Papi hanno celebrato messe a Fatima. Giovanni Paolo II ha voluto che uno dei proiettili che lo colpì fosse incastonato nella corona della Vergine: papa Wojtila venne ferito il 13 maggio 1981, non poteva essere indifferente alla coincidenza delle date, la Madonna ne aveva protetto la vita. Papa Francesco, qui, nel 2017, centenario delle visioni, canonizzò Jacinta e Francesco.
Josè Saramago, il grande scrittore portoghese, Nobel per la letteratura, nel suo Viaggio in Portogallo, arriva a Fatima e rimane deluso, la basilica novecentesca non ha certo il fascino di Santiago de Compostela, gli appare priva di «proporzione ed equilibrio». Non credo che Saramago abbia fatto in tempo a vedere la nuova basilica della Santissima Trinità, inaugurata nel 2007. Una chiesa immensa all’altro capo della spianata, perfettamente circolare, capace di ospitare quasi novemila fedeli: rivela la sua bellezza solo entrandovi a piccoli passi. Di fronte al Cristo con la faccia da contadino, alto dietro l’altare, si può, forse, cercare di capire cosa devono aver provato i tre bambini-pastori di fronte all’apparizione della Madonna.
E allora si dimenticano i mille negozi di souvenir attorno alla Basilica. A Fatima, più che altrove, bisogna essere capaci di separare il sacro dal profano. Marco Roncalli, saggista, storico della chiesa e pronipote di Giovanni XXIII, ricorda le parole di Paul Claudel, poeta e drammaturgo francese: «Fatima è un’esplosione traboccante del sovrannaturale in un mondo dominato dal materiale». Un amico mi scrive: «La fede semplice della gente fa accadere miracoli in cui crediamo e speriamo. E non importa se non li vediamo».
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