08 Ottobre 2025

La voce di Gesù

Ma come parlava Gesù? Stando ai vangeli, ha usato vari timbri o toni: quello amorevole ma pure quello arrabbiato o particolarmente assertivo. Ma, al di là del timbro, ciò che ha contraddistinto le sue parole era che sempre instauravano relazioni.
La voce di Gesù

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«Buongiorno, pensando alla differenza tra ascoltare e udire, colgo che, nel secondo caso, la voce di chi parla rimane in superficie, non se ne riconosce il timbro, né le inflessioni. L’ascolto invece è più profondo, dalla voce di chi parla si può capire il suo stato d’animo, la gioia, la stanchezza, la tristezza. Mi è sorta una domanda che voglio condividere con voi: come parlava Gesù?».
Un lettore

Chiaramente non abbiamo delle registrazioni audio delle parole di Gesù, ma possiamo far riferimento ai vangeli per tentare di abbozzare qualche considerazione. In alcuni passaggi si danno delle indicazioni sul suo tono di voce: ad esempio in alcuni momenti grida, come quando comanda a Lazzaro di uscire dal sepolcro, oppure quando fa un’affermazione importante davanti a tutti (cfr. Gv 7,37), o ancora sulla croce, prima di morire. In altre occasioni, si dice che esulta di gioia (cfr. Lc 10,21) oppure che rimprovera qualcuno, come gli scribi e i farisei (cfr. Mt 23,13-33). Tuttavia, un brano suggestivo – che troviamo al capitolo 10 del vangelo di Giovanni – è quello in cui Gesù parla di sé come del buon pastore: le pecore ascoltano la sua voce, il pastore le chiama ciascuna per nome e lo seguono perché conoscono la sua voce. Al contrario, non conoscono la voce di un estraneo e non lo seguono, anzi fuggono da lui (cfr. Gv 10,3-5).

Tutto ciò suggerisce che Gesù parla in un modo che è riconoscibile, capace di entrare in sintonia con ciascuno di noi: è una voce nota, familiare. Anzitutto si rivolge alle pecore chiamandole per nome, espressione del fatto che conosce chi sta chiamando e desidera vivere un incontro personale, una relazione unica con ciascuno. Uno degli incontri più belli dopo la Risurrezione è quello con Maria di Magdala che inizialmente non riconosce il Signore, ma lo confonde con il custode del giardino. Non le basta nemmeno sentire la voce di Gesù, ma soltanto quando viene chiamata per nome, Maria si volta e lo chiama «Maestro» (cfr. Gv 21,15-16). Non è sufficiente quindi il timbro della voce, ma è necessaria anche la parola che instaura la relazione: per Maria, accorgersi di essere riconosciuta diventa l’occasione per riconoscere a sua volta. 

Tornando al brano del capitolo 10 di Giovanni, ci potremmo chiedere: dato che il pastore chiama le pecore per nome e questo rimanda alla relazione personale con Gesù, questa relazione è solo per alcuni prescelti? Più avanti, Gesù afferma: «Ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore» (v. 16). Ecco: anche altri ascoltano la voce di Gesù, anche per altri c’è la possibilità di una relazione personale con lui. La differenza sta soprattutto in chi ascolta: come suggeriva il lettore, non è lo stesso udire e ascoltare. Non basta udire la voce, c’è bisogno di farle spazio nella propria vita, perché possa davvero essere ascoltata.

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Data di aggiornamento: 08 Ottobre 2025

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