Lungo il triangolo evangelico
Ho avuto il privilegio, di recente, di compiere un trekking attorno al lago di Galilea, bello da togliere il fiato. Otto giorni in cui, ora dopo ora, il tempo cambiava ritmo, prendeva quello quieto dei passi, del battito del cuore. Chino sulla cartina della bassa Galilea, ho cercato di memorizzare la costellazione dei villaggi attorno al lago, facendo girare in testa come musica i nomi dei paesi che riempiono gli ultimi tre anni della vita di Gesù: Tiberiade, Magdala, Genezaret, Tabga, Cafarnao, Betsaida, Corazim, Gerasa, l’altra riva, la Decapoli, la Valle delle colombe.
Quel cammino galilaico era un sogno coltivato a lungo, sostenuto dal vento mite di una parola del mattino di Pasqua: andate, vi precede in Galilea, là lo vedrete. Pronunciata da un angelo (Mt 28,7; Mc 16,7), rilanciata da Gesù stesso: annunciate ai miei fratelli che vadano in Galilea, là mi vedranno (Mt 28,10). Come se quella parola fosse stata scritta per me, l’ho attuata scegliendo il modo più vicino a Gesù, il cammino a piedi, percorrendo il paesaggio che egli amava di più, vera geografia sacra. E la prima scoperta è stata la quantità di Vangelo, un braciere di episodi, discorsi, guarigioni, incontri, di cui è intriso quel fazzoletto di terra che gli esegeti chiamano «il triangolo evangelico».
Abbiamo camminato in gruppo, 40 belle persone, seguendo le orme di Gesù, e questo ci ha portato fuori dai flussi turistici, via dagli itinerari battuti da fiumane di gente, dentro un indispensabile silenzio amoroso. E intorno era primavera, potente e leggera. Sui sentieri di Gesù gli occhi godevano lo stesso paesaggio praticamente immutato da allora: stessi sono i colori, i fiori, il profilo delle colline e della città sul monte, i profumi delle erbe, ma soprattutto potevamo ascoltare e rivivere la Parola negli stessi luoghi del primo evento: davvero ciò che abbiamo di più vicino al Nazareno.
Vi precede in Galilea. Là lo vedrete. Perché la Galilea? Terra di frontiera, lontana da Gerusalemme, dal potere omicida, ai margini dell’istituzione religiosa, la Galilea è il luogo dove tutto ha avuto inizio: tre anni di strade, lago, pani e pesci, olivi, lezioni sulla felicità, intese amicali. Bisogna ripercorrere la vita di Gesù dall’inizio per capire che Dio l’ha risuscitato perché una vita così non può finire. Che gesti e parole così meritano di non morire, che hanno dentro la vita indistruttibile che Dio regala a chi produce amore.
Camminando lungo la sponda tra Tabga e Cafarnao, abbiamo incontrato una piccola baia verde, con le rive disposte ad anfiteatro, identificata dal monaco archeologo Bargil Pixner come quella della predicazione di Gesù dalla barca: si mise a insegnare lungo il mare. E si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli salì su una barca e là restò seduto, e insegnava stando in mare... (Mc 4,1; Lc 5,1-3). Un pulpito oscillante e insicuro. Abbiamo sostato a lungo, in silenzio, con Marco e Luca, con gli occhi su quel punto del lago che unisce le due braccia della baia: avrei voluto essere uno perduto nella folla enorme di allora...
Il cammino è risvegliatore dei sensi, anche di quelli interiori: ho sentito aprirsi il guscio dell’istante, un cortocircuito temporale. E mi pareva di vederlo, seduto sulla barca, di ascoltarlo, anche se all’orecchio non giungeva nient’altro che il brivido del silenzio, di un amore senza parole. E mi sono commosso: questo tempo era diventato per un po’ quel tempo. Un regalo favoloso, come per i due di Emmaus, quando confessano: non ci bruciava forse il cuore per strada? In quel momento per un po’ sono diventato, sulla strada di Galilea, come il centro del mondo e del tempo. Piccolo Vangelo: un punto qualsiasi dell’universo può diventare il centro dell’esistenza.
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