Mamme al tempo dell’adolescenza
Mi scrive Sonia, mamma di un figlio di 12 anni: «Non lo riconosco più. Sembra un’altra persona. Che cosa gli è successo? Sono impreparata, non so che cosa fare. Mi sorride raramente. È scostante, sgradevole, non vuole saperne di rispondere alle mie domande. Le poche volte che lo fa, sono quasi mugugni senza significato, che somigliano più a un verso che a una comunicazione. Mi chiedo se ho sbagliato qualcosa».
Quando i figli e le figlie abbandonano la condizione infantile, il cambiamento è profondo. Hanno il desiderio di allontanarsi dal nido materno, che per i primi anni li ha accuditi e protetti, di andarsene dal controllo genitoriale per trovare la propria libertà e conquistarsi uno spazio tutto loro. La vita si affaccia a una nuova fase, nella quale essi sono decisi ad affrontare con le proprie forze le sfide che si presentano, provando a superare quei limiti che fino a ieri parevano insuperabili. Una ricerca di libertà per staccarsi dalle protezioni e dal controllo.
Ma come gestire l’adolescente che cerca questo allontanamento? La mamma, in particolare, rappresenta l’infanzia e questo nido da cui figli e figlie intendono schiodarsi e allontanarsi. La pretesa di mantenere lo stesso ruolo di quando i figli erano bambini costituisce un’inutile zavorra. Molte madri continuano imperterrite a comportarsi e ad agire come se i loro figli fossero ancora piccoli, ma non funziona. Un approccio puramente materno, se non addirittura di maternage, (quello che caratterizza i primi anni di vita di un bambino, ndr), oltre che inutile, spesso è pericoloso e dannoso. Gli adolescenti non necessitano di accudimento.
Troppi ragazzi e ragazze a 12-13 anni sono ancora nel lettone, troppi ancora alla ricerca di una conferma materna senza riuscire a staccarsi, a prendere la propria strada. Due, allora, sono le operazioni urgentissime da attuare quando l’infanzia finisce. La prima: passare la palla al papà e al paterno, ossia a quella modalità educativa che crea argini e sponde, spinge alla libertà e suscita coraggio. Qualche madre si chiederà: «Ma se siamo separati? Se il papà è “fuori uso”?». Può succedere, allora si tratta di cambiare completamente approccio. I figli non sono più bambini, non hanno bisogno di coccole, semmai di essere ascoltati. Conta la capacità di dare una spinta, di offrire uno sguardo positivo e non spaventato sulla loro crescita.
E qui, tra gli atti di coraggio del genitore paterno in questa fase della vita, inizia il punto due: lasciare che il ragazzo e la ragazza creino un proprio gruppo, una propria vita sociale, non virtuale ma in carne e ossa, per costruire un nuovo mondo, una nuova speranza. Da sempre l’uscita dall’infanzia coincide con la scoperta del gruppo adolescente. Una forza viva che mamme e papà possono e devono sostenere stabilendo regole di vigilanza educativa, ma senza mai bloccare la libertà che non è capriccio, ma bisogno profondo di mettersi alla prova, spingere al massimo le proprie risorse, provarci per affrontare le sfide della vita con coraggio.
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