Perché tanto favore per la guerra?
I media hanno una grande influenza nel creare nell’opinione pubblica un clima di pace o di guerra. Ne è convinto Roberto Reale, giornalista, docente e studioso della ricaduta delle tecnologie della comunicazione sulla società, che in occasione del Corso per giornalisti «Linguaggi di pace per una società riconciliata», organizzato dal «Messaggero di sant’Antonio» nel giugno scorso, ha esplicitato il tema tramite una serie di esempi concreti, tratti da varie testate cartacee e on-line. Il periodo che stiamo vivendo è tra i più difficili, con il più alto numero di Paesi coinvolti in conflitti dal tempo della seconda guerra mondiale. Per la precisione 92 Paesi in 56 guerre accertate. Da conflitto globale sono anche il numero dei morti in battaglia 162 mila solo nel 2023 e i 120 milioni di profughi. Sullo sfondo l’impennata delle spese militari a detrimento delle spese sociali e la crisi climatica, sempre più grave.
Che cosa dovrebbe fare un’informazione di qualità in un contesto come questo? Secondo Reale, almeno tre cose: dare tutte le notizie, eludendo la propaganda delle parti in conflitto; stare dalla parte delle vittime, da quelle che muoiono nei bombardamenti a quelle che sono costrette ad andare in prima linea; non schierarsi con tesi preconfezionate: «Quello che conta è il ragionamento, il modo con cui ognuno di noi organizza la realtà».
Tra i vari esempi emerge che la stampa main stream ha sposato negli ultimi tempi un atteggiamento bellicista, puntando sul fatto che se l’Occidente non è armato fino ai denti non può proteggere il suo stile di vita e la sua libertà e dando per scontato che c’è una lotta in corso tra Occidente e resto del mondo. Ciò a prescindere dall’evidenza delle sofferenze degli altri, da Gaza rasa al suolo alle schiere di giovani russi e ucraini sacrificati alla guerra, quasi fossero un’inevitabile effetto collaterale, rispetto alla necessità di difendersi. Un danno che si ripercuote anche sui più deboli e sulle nuove generazioni di casa nostra, visto che ci sono sempre meno soldi per scuola e sanità. In una costruzione di questo tipo «la spesa sociale non è una priorità, questo è il tempo in cui dobbiamo sacrificarci per la patria».
Una visione ripetuta in tutte le salse, che tuttavia cozza con il sentiment degli italiani: «La grande maggioranza degli italiani si è detta chiaramente a favore della pace e per una soluzione diplomatica dei conflitti». Una visione che ha una ricaduta molto concreta: «Sul piano globale il 2,3% del prodotto interno lordo mondiale viene bruciato in questa corsa forsennata per aggiornare gli arsenali. Una cifra mostruosa che condiziona la vita del pianeta», mettendo in secondo piano questioni cruciali per la sopravvivenza del genere umano come la crisi climatica e la conversione energetica.
A riprova che gli affari c’entrano eccome, basta dare un’occhiata alla Borsa: «Stanno andando a gonfie vele i titoli legati agli armamenti e gli energetici, perché le tensioni internazionali aumentano il valore delle materia prime» afferma Reale.
Sono solo alcuni dei ragionamenti che spariscono o sono poco trattati dai media italiani, ma il positivo è che la gente non è affatto convinta da questa narrazione del mondo a senso unico. «Questo insistere sulla necessità di difendere la propria libertà e la propria civiltà «rischia di far diventare le democrazie sempre più simili alle dittature». Una situazione sempre più precaria, che arriverà a un punto di rottura quando le persone si renderanno pienamente conto, complice l’austerità crescente, «che le prime vittime di questa mobilitazione a favore della guerra sono proprio loro».
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