Proporzione, argine all’odio
La parola proporzione non c’è nel Vangelo. E nemmeno qualcosa che somiglia al concetto corrispondente. La proporzione ha a che fare con la misura e la predicazione di Gesù è una trascinante appassionata testimonianza dell’amore smisurato di Dio per gli uomini. Ma in questi anni di guerre scellerate scoppiate all’interno di civiltà che in molti e diversi modi riconoscono di avere radici nella Bibbia, la parola è diventata importante e abbiamo dovuto chiederci quale sia la risposta proporzionata a un attacco feroce che ci devasta.
È chiaro che misura e proporzione sono concetti portanti della vita civile. Sono conquiste dell’umanità . Vuol dire che la pena non può avere la dismisura del mio odio, non deve travalicare i confini che la società ritiene giusti (rispetto al reato, alla possibilità di recupero del colpevole, al tenere in sicurezza le persone, al dare un buon esempio ai cittadini, al non moltiplicare la violenza, o allargare il conflitto). L’alternativa sarebbe la legge del più forte. Il più forte del momento, finché la furia rabbiosa degli oppressi non fa scoppiare di nuovo l’odio e si ricomincia da capo. Tutte le culture hanno cercato e con fatica trovato un argine alla faida infinita dell’odio. La legge del taglione, per quanto cruda, segna un confine alla rivalsa senza limiti. Occhio per occhio indica una proporzione, sia pure cruenta, che bastava alla giustizia del tempo.
Certo, così il mondo alla lunga diventa cieco, ha detto più tardi Gandhi, che di ragioni per essere smisurato contro le violenze degli inglesi ne avrebbe avute eccome. Ovvero, non tutte quelle che abbiamo ritenuto pene proporzionate assicurano la qualità umana della nostra vita e infatti nel tempo (la lezione di Cesare Beccaria è per sempre) abbiamo rifiutato la pena di morte a favore delle pene detentive, e ora si ragiona meravigliosamente sulla giustizia riparativa. È l’incessante ricerca di chi crede che il bene vada con ostinazione perseguito anche se la storia spesso ci scoraggia. E allora la parola proporzione ha senso. È la misura di un’umanità che prova a non commettere ingiustizia. E se la violenza arriva tremenda, si tiene il punto nella proporzione della risposta. Niente di più. Il contenere la violenza.
Il Vangelo però ci invita a una capriola, un salto, una discontinuità , perché nella predicazione di Gesù c’è solo la dismisura dell’amore di Dio per noi. Quanto siamo chiamati a perdonare? Settanta volte sette. Sempre sempre sempre. A guardare questa dismisura ci si perde, perché ci allarga lo sguardo all’infinito nel tempo e nello spazio e nelle relazioni. Non la si può afferrare. La si può afferrare solo dall’altro capo, dal capo di Gesù che l’ha vissuta e anche di chi oggi cerca di viverla, ci prova. Dal capo di chi ha proprio capito che assolutizzare il mio io, la mia proprietà , ricchezza, terra, il mio potere, è idolo e follia. E crede profondamente che solo il noi preservi la vita. Il sentirsi fratelli. I cristiani sanno che questo vuol dire perdere la vita per l’altro, nel senso che quella è la misura ultima indicata da Gesù. Una chiamata. Ciascuno risponde come sa e può.
Ma forse lo smisurato amore del Vangelo può avere una laica traduzione nell’invito costante a trovare strade nuove e creative rispetto alla reazione, sia pure proporzionata, alla violenza ricevuta. Un supplemento di pensiero, uno spaginamento delle comuni reazioni reattive e feroci, qualcosa che possa far cambiare il segno agli eventi e far intravvedere, là in fondo, la luce della pace. «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9) è parola di Dio e insieme laicissima saggezza dell’umanità .Â
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