«Un tempo meraviglioso per essere prete»

Questa frase di Giovanni Paolo II è divenuta quasi un mantra per don Paolo Iannaccone, un sacerdote al servizio degli ultimi, da tre anni presidente del Centro «Ernesto Balducci», in provincia di Udine.
18 Giugno 2025 | di

Incontro e dialogo. Sono queste le due parole che ricorrono con maggior frequenza durante l’incontro con don Paolo Iannaccone, da tre anni presidente del Centro di accoglienza «Ernesto Balducci» (www.centrobalducci.org) di Zugliano, in provincia di Udine, e in procinto di festeggiare i trent’anni di sacerdozio. «Sono convinto che sarà l’incontro dei volti a salvarci. La paura la abbatti se permetti di farti incontrare dalla realtà dalle persone, dalle loro storie, se incroci i loro volti e fai sì che nasca un dialogo. Cioè se permetti di lasciarti attraversare dalla parola e dal pensiero dell’altro». In un momento in cui il mondo sembra rassegnato alle chiusure, fisiche e mentali, le parole di questo sacerdote di 58 anni possono sembrare utopiche. Ma don Paolo risponde: «Ricordo sempre la frase di Giovanni Paolo II, poco dopo esser stato eletto, in tempi di guerra fredda: “Questo è un tempo meraviglioso per essere prete”. Analogamente lo è per il credente. In tempi difficili e complessi come quelli odierni vale la pena di riprendere in mano il Vangelo e riscoprire la chiamata di ciascuno a vivere una pienezza di umanità». 

L’incontro e la scelta del seminario 

Ed è proprio un incontro a determinare la scelta forse più importante di don Paolo, quando, intorno ai 20 anni, inizia per lui un periodo difficile. Ma è proprio in quel frangente che arriva una mano per risollevarlo. Anzi, quattro mani: «Era una coppia di fidanzati – ricorda –. Con la loro accoglienza, il loro ascolto e il loro modo di fare mi hanno aiutato a ritrovare me stesso e a sentirmi amato. Dopo ho capito che, attraverso di loro, era Dio che voleva dirmi che mi amava e che per me c’era un futuro di senso. Ho voluto dare una risposta di pienezza a questo amore gratuito che avevo ricevuto, e l’ho trovata nel sacerdozio». Ordinato sacerdote il 3 giugno 1995, don Paolo ha poi prestato servizio in nove parrocchie e oggi lo fa alla Madonna del Mare, a Trieste. Nel corso degli anni è stato condirettore del settimanale diocesano «Vita Nuova» e ha ricoperto incarichi diocesani con i giovani e gli studenti di Azione Cattolica, e nella Pastorale Giovanile. «Il rapporto con i giovani mi ha aiutato molto – sottolinea –. Loro scoprono subito se non sei vero, se reciti un ruolo. Il bello è mettersi alla pari e imparare ad ascoltarli. Per me è stata una grazia».

E se un incontro è stato alla base del suo sacerdozio, è invece l’imbattersi nell’intolleranza verso le diversità che gli ha fatto vivere uno dei periodi più difficili. Nel 2016, a un mese dalla nomina a parroco di Aquilinia (poco più di mille abitanti nel Comune di Muggia, sul confine con la Slovenia), don Paolo viene contattato per ospitare per venti giorni venti migranti che dormivano in strada. «Il vescovo mi aveva appena affidato l’ex asilo delle suore, da cinque anni inutilizzato. Prima che come prete mi sono interrogato come uomo e la risposta immediata è stata “sì”». Da lì si è creato un clima politico e sociale di violenta avversione, culminato con una raccolta firme contro l’accoglienza. «Quando la prefetta ha organizzato un incontro con la cittadinanza per spiegare il progetto, un gruppo di facinorosi non le ha neppure permesso di parlare e lei, la sindaca e io siamo stati portati via sotto scorta. Sembrava un incubo». Nonostante tutto, però, i migranti vengono accolti. Ma la polemica non si è ancora smorzata.

Ora che di anni ne sono passati quasi dieci, don Paolo ripensa a quel periodo e a ciò che gli ha insegnato. E giunge a una sola conclusione: «Il mondo sarà accogliente verso ogni diversità o non sarà. Facciamo fatica a capire che la diversità è ricchezza. Per quanto riguarda i migranti, purtroppo, la situazione negli anni è peggiorata, anche a causa di scelte legislative a dir poco discutibili. Non dobbiamo aspettarci molto dalla politica; credo che solo uno scatto di umanità da parte della gente comune potrà cambiare qualcosa. Ma bisogna crederci e mai perdere la speranza». Proprio quella speranza che a volte sembra affievolirsi lasciando spazio all’indifferenza e all’egoismo: «Poco tempo fa ho incontrato un ragazzo dell’Uganda al “Centro Balducci” – racconta don Paolo – e, dopo aver parlato della sua storia e del suo percorso di richiedente asilo, alla fine mi ha detto: “Ma guarda che il mondo presto sarà uno”. Mi sono chiesto: ma io ci credo? Oppure ho perso la speranza di fronte a tanta disumanità? Mi sono risposto che in parte l’avevo persa. Non è facile, ma questa frase ha riattivato in me la necessità di rielaborare la speranza e continua a darmi forza e coraggio». 

Il Centro Balducci e don Di Piazza

Speranza, forza e coraggio che sicuramente non sono mancati a don Pierluigi Di Piazza, quando, nel 1989, decise di dare vita al «Centro Balducci», una «casa accogliente, un luogo aperto alla diversità» che è cresciuta negli anni grazie anche al fondamentale ruolo della comunità. «Com’era don Di Piazza? Forte e tenace, ma anche umile e delicato. Era una persona capace di tessere relazioni, attenta agli ultimi: ha molto sofferto sia per il male che ha visto intorno a sé sia per la scelta di non rinunciare a dire una parola forte e profetica quando c’era bisogno di dirla, anche se questa diventava impopolare e gli procurava persecuzioni. Anche da parte della Chiesa».

Attualmente, presso il «Centro Balducci» sono ospitate circa 50 persone: poco meno della metà provengono dall’Ucraina (in accordo con Comune e Prefettura di Udine), mentre le altre hanno origini diverse: Afghanistan, Benin, Camerun, Cile, Egitto, Etiopia, Ghana, Marocco, Pakistan, Siria, Striscia di Gaza, Venezuela e anche Italia: «Sono ospiti in piena solidarietà – spiega don Paolo –, una scelta di fondo fatta ancora da don Di Piazza: aveva pensato che metà delle accoglienze potessero sostenersi con la generosità della gente al fine di favorire progettualità di accoglienza altrimenti difficili da attuare». E l’appoggio della comunità non è mai venuto meno: oggi sono più di 90 i volontari che si alternano per donare quotidianamente il proprio tempo al Centro, fedeli a quell’insegnamento che ha lasciato il fondatore: «Il mio unico nemico è l’indifferenza», quel girarsi dall’altra parte, il dire «non mi interessa» o «deve occuparsene qualcun altro».

Ma il «Centro Balducci» non è solo accoglienza: «Per noi è fondamentale anche la promozione culturale, perché è decisivo non solo conoscere e approfondire, ma anche favorire l’incontro tra culture e religioni diverse» spiega don Paolo. Oltre al convegno annuale di settembre (giunto alla sua 33esima edizione) sono molti gli incontri organizzati (anche nelle scuole) su diversi temi come accoglienza e inclusione delle diversità, diritti, giustizia, legalità, cura del creato e delle persone fragili. 

Significativi sono poi due appuntamenti annuali promossi da un gruppo di preti del Friuli-Venezia Giulia e del Veneto impegnati non solo sul fronte parrocchiale, ma anche nelle carceri, nei centri di accoglienza e sulla «strada». Da molti anni, periodicamente, si ritrovano per sostenersi nella condivisione di fatiche, speranze e cammini e da questi incontri nasce la Lettera di Natale, «una condivisione – spiega ancora don Paolo – del nostro “sentire”, rivolta a chi, nelle nostre comunità, volesse mettersi in ascolto». 

Il secondo appuntamento, organizzato con altre associazioni pacifiste, è la Via Crucis da Pordenone ad Aviano (PN), cittadina, quest’ultima, dove ha sede una base militare americana. Lo scorso 6 aprile si è tenuta la 27esima edizione: «Il titolo di quest’anno era Nel silenzio, per rispondere all’appello di papa Francesco a “disarmare le parole” e a metterci in ascolto di una parola “altra”, che superi tante sterili retoriche, incapaci di spalancare orizzonti di speranza e di pace». Il 9 agosto le associazioni organizzatrici si ritroveranno nuovamente davanti alla base americana per ricordare le vittime dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki e per rilanciare una riflessione sulla pericolosità dell’escalation degli armamenti.

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Data di aggiornamento: 18 Giugno 2025
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