Criticare la Chiesa

Lo Spirito sempre assiste la Chiesa. Ma questo non ci solleva dal consapevole esercizio della nostra responsabilità. E dal dire anche «no», se è il caso, alla relazione finale di un Sinodo.
16 Giugno 2025 | di

In democrazia a un popolo scontento dei propri governanti possiamo dire: «Vota meglio». Ma la Chiesa non è una democrazia e allora come esprimere lo scontento verso chi governa il popolo cristiano? Qual è il posto della critica? È una domanda che non ci si fa volentieri tra credenti. Perché ci si potrebbe trovare imbarazzati e stretti tra posizioni estreme, difficili da confutare come pure da accogliere. 

Una parte di noi apparentemente non si pone il problema, sta nella Chiesa, si dichiara credente e però mormora. Non c’è paese, quartiere, condominio, sagrato che non conosca il maleficio (dal latino, malum-facere, far del male) del mormorare. E anche la Bibbia. Nel deserto, in fuga dalla schiavitù, la fatica del cammino, l’incertezza dell’esito, la stanchezza smorzano la gioia delle acque del Mar Rosso fieramente richiuse sui nemici. Quando la sete si fa feroce, ecco quello che capita: «Allora il popolo mormorò contro Mosè dicendo: Che berremo?» (Es 15,24). E più avanti con maggiore argomentare: «Perché ci hai fatti uscire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?» (Es 17,3). È una critica che guarda al passato. Si distacca dalla presente storia comune, prende le distanze e da una posizione ormai esterna rinnega il dolore vissuto. Poi sappiamo come è andata a finire. Il Signore ha provveduto all’acqua, tramite Mosè. E anche al cibo, la manna discesa dal cielo. 

Anche il Vangelo conosce la mormorazione, intorno a Gesù: «Intanto i Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: Io sono il pane disceso dal cielo. E dicevano: Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?». Qui Gesù risponde in modo diretto: «Non mormorate tra di voi» (Gv 6,41-43). Il mormorare è terra terra, è lontano dalla vertigine del cielo, che manda il pane, sostiene la fede di Mosè, accompagna uomini e donne nella vita dei giorni. Quindi mormorare proprio no.

Rispetto al diritto di critica c’è chi è sicuro di avere la risposta evangelicamente inconfutabile: la correzione fraterna (Mt 18,15-20). Vero e bello correggere nel segreto del rapporto interpersonale l’evidente errore del fratello. Così vero che esistono fior di laicissimi corsi di formazione che insegnano come far accettare la critica in un contesto di lavoro, e come affinare le competenze di relazione sottile, quelle che dissodano il terreno dell’ostilità. Ma vale con chi abbiamo vicino, ed è difficilissimo anche in questo caso. Provare per credere. Non si sa davvero immaginare come correggere fraternamente i vescovi e i cardinali (forse anche i parroci?). 

Infine c’è chi ha la risposta delle risposte: lo Spirito sempre assiste la Chiesa e, quindi, qual è il problema? Ma sappiamo che se questo è certamente vero, in nessun caso l’azione dello Spirito ci solleva dall’esercizio consapevole della nostra responsabilità. Non essere una democrazia non vuol dire essere senza responsabilità individuale.

Ci sono molte possibili risposte alla questione. E tutte hanno a che fare con l’amore, cioè con il sentirsi parte della relazione. Chiesa patria degli uomini e delle donne libere amate da Dio. Una delle tante possibili definizioni. Da questa posizione possiamo dirci assolutamente tutto. Possiamo anche bocciare, con sorpresa del mondo, la relazione finale di un Sinodo partito in sordina, fortemente voluto da papa Francesco e forse proprio proprio necessario. Qualcuno ha detto eh no, questo è troppo. Ma qualche volta ci vuole un po’ di massimalismo evangelico per indurre (chi ci governa) a pensare.

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Data di aggiornamento: 16 Giugno 2025
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