Vita eterna, immagine d’amore
Nel mese in cui facciamo memoria delle persone che non ci sono più compagne di vita qui sulla terra, possiamo chiederci: come pensiamo la vita eterna? Più radicalmente: ci crediamo? Pensiamo davvero che chi è morto prima di noi sia da qualche parte, ci aspetti e lo ritroveremo quando anche noi ce ne andremo?Â
Nel maggio scorso si è chiusa in Basilica Palladiana a Vicenza la mostra «I creatori dell’Egitto eterno», curata dal Museo Egizio di Torino e per la precisione dal suo direttore Christian Greco. L’Egitto non va ricordato solo per il culto dei morti, dicevano le guide. C’è una cultura materiale che parla e rivela. I reperti della vita quotidiana, il poggiatesta per dormire, una portantina. Vero, ed è bello poter immaginare la vita di chi, nel mentre che costruiva le dimore adeguate alla vita eterna dei faraoni, intanto viveva qui, sulla Terra, la propria quotidiana normalità .
Ma anche seguendo questo filo di lettura, si vede che tutto, tutto il mondo degli artigiani che abitavano il villaggio segreto di Deir-el-Medina era finalizzato a proteggere l’altro segreto, il più importante, quello del processo minuto che doveva assicurare la vita eterna ai faraoni. Per questo il villaggio era segreto, e nessuno poteva uscirne, perché non si potesse conoscere il luogo e le tecniche e la struttura delle tombe. A questo serviva la tomba, i corridoi con le illustrazioni delle divinità , le statuine meravigliose in forma di mummia degli ushabti, che avevano il compito di fare, nell’aldilà , tutte le fatiche richieste alla nuova eterna vita che attendeva i faraoni. A questo serviva il sarcofago con le sue molte protezioni.Â
L’ultima stanza della mostra è il sarcofago ricostruito con una stampante 3D dello scriba reale Butehamon. Il sarcofago più studiato del Museo, dicono le guide. Ma Butehamon era uno scriba e come tale scriveva e la missiva più struggente e bellissima è indirizzata al... sarcofago della moglie. Lei è Ikhtay, una cantatrice di Amon, e in un ostrakon (un frammento di terracotta usato come materiale scrittorio, ndr) conservato al Louvre, il marito scriba chiede al sarcofago di proteggere la moglie ricordando il suo amore per lei.
Ecco. L’amore. Possiamo credere oppure no in Dio. È il mistero della nostra umanità . Un mistero della nostra fede. Inutile, davvero inutile essere rigidi e assertivi sul credere o no. Ma tutti, davvero tutti, amiamo o possiamo amare o sentiamo di poterlo fare, o che avremmo potuto, se qualcosa di tremendo non si fosse frapposto, come un’educazione innominabile o un abbandono non raccontabile, o una ferita che non dà pace. Chissà . Forse anche nostra, proprio la nostra mano che non si è allungata a prendere la sua. Comunque l’amore tutti sappiamo che cosa è o potrebbe essere. Un figlio. Una fidanzata. Un amore giovanissimo. E questo, immediatamente ci ha fatto desiderare l’eterno. Immaginarci per sempre insieme e anche se, o quando, la morte, proprio lei, è arrivata a ricordare il limite del nostro esistere, non ha potuto segnare il confine del nostro desiderio e abbiamo continuato a sentire che quell’amore chiede l’eternità . Troppo grande per essere contenuto nel confine del tempo.Â
«Oh nobile sarcofago della cantante Amon Ikhtay, che riposa in te. Ascoltami, così che tu possa trasmettere il mio messaggio. Poiché le sei vicino dille: come stai? Come vanno le cose?». Possiamo fare nostro lo scritto amoroso di Butehamon e anche da laici che non credono in Dio chiedere, come fosse qui l’amato, l’amata: come vanno le cose? Aspettami. C’è un posto anche per me. Aspettami.Â
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