Viventi e mortali
Novembre ci sollecita a pensare alla morte. Non come la nemica della vita, ma come sua «sorella», secondo la lezione di san Francesco nonché quella, inascoltata, della pandemia che abbiamo cercato di archiviare senza conservare quanto di prezioso per le nostre vite ci aveva fatto comprendere. Gli esseri umani sono chiamati allo stesso tempo «i viventi» e «i mortali». Come scrive Fernando Pessoa, «morte siamo e morte viviamo. Morti siamo nati; morti transitiamo» (Il secondo libro dell’inquietudine).
Ma che cosa significa? Almeno due cose. La prima è che non dobbiamo avere paura della morte, perché è da quella prospettiva che possiamo capire la vita, e accettare anche quelle piccole morti che sono i cambiamenti. «Tutto ciò che vive, vive perché cambia; cambia perché passa, e, poiché passa, muore», scrive ancora Pessoa. Non è cercando di trattenere le cose come sono, o cercando di portare indietro le lancette del tempo che ci sentiremo più vivi, ma assecondando questo movimento vitale di fine e inizio, di morte e rinascita.
In secondo luogo, noi pensiamo che il desiderio di «più vita» che fa da carburante alle nostre esistenze implichi la cancellazione della morte e si possa soddisfare attraverso la rincorsa a un aumento continuo delle possibilità materiali. Ma così facendo consumiamo il pianeta e anche le nostre vite, rincorrendo cose che, una volta raggiunte, non ci soddisfano mai. Solo se non avremo paura di «lasciar andare» potremo davvero gustare il di più della vita, come una sorpresa che ci stupisce sempre e ci porta oltre noi stessi.
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