Oggi c’è scuola
Il volume in questione – Oggi c’è scuola – è uscito nel settembre 2021 e, come recita il sottotitolo – Un pensiero per tornare, ricostruire, cambiare –, prende spunto, nel suo discorso sulla scuola, dalla ripartenza post pandemica. Ma non si creda di trovarsi dinanzi a un libro «datato», anzi, è di un’attualità incredibile. Perché ora che, come tutti ci auguriamo, il peggio è passato, è il momento non di gettarsi tutto alle spalle come se nulla fosse successo, bensì di ripensare, riflettere, rielaborare il dolore e la paura, il disorientamento e la rabbia di quei giorni. Giorni che, come una lente di ingrandimento, hanno ingigantito i punti di forza e di debolezza del nostro sistema, anche scolastico.
Mariapia Veladiano che, oltre a essere feconda autrice di bellissimi romanzi e teologa, ha insegnato per anni lettere ed è stata preside, di scuola può parlare con autorevolezza. E ne parla con un amore profondo, che si respira in ogni pagina di questo bel libro: l’amore di chi ha uno sguardo limpido e disincantato, capace di vedere ciò che non va ma anche di sottolineare i pregi, le eccellenze e soprattutto le potenzialità. Al punto che qualcuno ha definito queste pagine un libro «alla» scuola e non «sulla» scuola, una sorta di lettera appassionata al mondo della formazione dei nostri ragazzi.
Il volume sa aprire nuove prospettive e suggerire originali riflessioni. Moltissimi i temi trattati: le inedite e possibili alleanze tra scuola e famiglia; la scuola come luogo in cui si possono appianare le disuguaglianze prendendo consapevolezza delle reciproche differenze; gli stereotipi di genere che il mondo della formazione dovrebbe aiutare a combattere, anche facendo maturare una nuova educazione alla relazione di genere. E poi l’annosa questione dell’edilizia scolastica, il tema della meritocrazia e così via. «La scuola – scrive Veladiano – è oggi, è presente perché crede nel futuro. È futuro presente».
Ma gli adulti non credono nel futuro, o almeno non ci credono quelli che hanno in mano le sorti del Paese. E talvolta non ci credono nemmeno i genitori, più preoccupati di proteggere invece che di educare i propri figli. Così ai giovani non resta che la scuola, purché, però, sia «al servizio della loro capacità di assumere decisioni informate e competenti», li aiuti «a sviluppare qualità capaci di futuro. Collaborazione invece di competizione. Senso della collettività invece che esasperazione della proprietà. Piacere del servizio invece dell’abbaglio del potere e di un successo che estenua il desiderio invece di assecondarlo nella verità dei talenti che ciascuno ha». Una scuola così è possibile e, paradossalmente, la pandemia ce l’ha mostrato. A noi spetta ora il compito di rendere fecondo tutto il dolore che come società abbiamo attraversato negli ultimi anni.