L’eremo di sorella Maria
Un’antica pieve sperduta nella campagna, la canonica accanto, ormai disabitata da anni. Attorno, un orizzonte sconfinato che si perde tra le colline dell’alta Val Tiberina, dove l’Umbria diventa Toscana. È qui, non lontano da Sansepolcro (AR), in mezzo a una natura incontaminata, dove a parlare è solo il silenzio, che ha preso vita l’Eremo di Santa Maria degli Angeli. Sorella Maria lo abita da 18 anni. Lei e sorella Giampaola sono giunte qui dopo la chiusura del loro monastero di clausura, in Umbria, dove avevano realizzato la loro vocazione come Sorelle Povere di Santa Chiara, note anche come clarisse. Da ben 25 anni Maria era monaca, negli ultimi anni anche abbadessa del suo monastero, dove era entrata nemmeno ventenne, dopo un’esperienza lavorativa in fabbrica. Era passata dai panorami della sponda veronese del natio lago di Garda alle alte mura del convento umbro, dove pensava di vivere fino alla fine dei suoi giorni.
Ma le strade che il Signore traccia sono sempre nuove, così come le storie che la Provvidenza scrive con inaspettata fantasia. La chiusura del monastero, a causa del numero ormai ridotto di sorelle che lo abitavano, provoca in Maria un desiderio di rinnovamento nel carisma di contemplativa. La tensione spirituale si fa forte, e cresce la domanda interiore riguardo a ciò a cui era chiamata in quella nuova fase di vita. La risposta la trova nell’amore per il silenzio, che si può vivere dentro un chiostro ma anche in mezzo alla natura. Arriva, come un dono inaspettato, la possibilità di abitare degli spazi semplici, essenziali, in totale isolamento ma non troppo distanti da qualche piccolo borgo, nelle valli aretine che risalgono verso Anghiari. Un luogo antico, impregnato da secoli della preghiera della gente semplice; un luogo sacro che da tempo giaceva dimenticato nel silenzio, quasi irreale, dei colli ricamati di viti e girasoli. Un silenzio irresistibile per le due sorelle, Maria e Giampaola.
Vita nuova
Ed eccole là, nel 2005, pronte a iniziare una nuova forma di vita monastica, quella delle eremite, ridando vita alla pieve e all’antica canonica. Provvidenzialmente c’è chi pensa alla sistemazione, semplice e francescana, degli ambienti, rendendoli accoglienti nella loro estrema povertà. Nasce così l’Eremo di Santa Maria degli Angeli. La diocesi intanto, con decreto del vescovo, riconosce canonicamente la loro esperienza e la approva inserendola tra le forme di vita religiose della Chiesa locale. Intanto, i vicini cominciano, con curiosità, ad avvicinarsi all’eremo. Dapprima per conoscere chi siano e che cosa facciano queste due suore dal velo bianco, che intravedono quando scendono in paese per la Messa; poi per capire in che modo poterle aiutare. E l’occasione non manca: dal dono di un po’ di provviste alla legna per l’inverno, che da queste parti è lungo e picchia duro. Le sorelle accettano con semplicità, ma vogliono anche guadagnarsi il loro pane, non solo coltivando l’orticello bensì anche rendendosi utili per la pulizia della biancheria delle parrocchie vicine.
Gli abitanti della zona presto si rendono conto che non andranno lassù solo per donare qualcosa, anzi: da quel luogo di pace è più quello che si prende che quello che si dà. Non passa molto che, negli orari più consoni, quando non si disturba la preghiera e la meditazione, in tanti, con discrezione, iniziano a salire all’eremo per confidarsi, sfogarsi, chiedere una preghiera e un consiglio. Le sorelle sono disponibili con una semplicità disarmante. Quando, qualche anno dopo, Giampaola viene a mancare, Maria, ormai sola, continua la sua scelta con la sicurezza di chi sa di percorrere la strada giusta: «All’eremo salgono fratelli e sorelle che condividono con me un tratto della loro strada, spesso faticosa» racconta sorella Maria. «Cerco di asciugare le loro lacrime e donare serenità, incoraggiare nei momenti difficili, seminare speranza e moltiplicare la gioia: sono solo una sorella che li accompagna e cerca insieme a loro di capire dove sta passando Dio... Nel mio silenzio risuona ogni voce del mondo: è mio ogni dolore come mia è tutta la gioia».
Negli anni, inaspettatamente, la vocazione alla contemplazione si associa all’apertura profonda all’altro, nell’incontro con chi giunge quassù: «Sono solita dire che l’ascolto di Dio e l’ascolto degli altri sono due facce della stessa medaglia: ognuna illumina l’altra, ognuna ne chiarisce il messaggio e lo attualizza». I ritmi della giornata, all’Eremo di Santa Maria degli Angeli, sono quelli lenti che la natura stessa regala, nell’avvicendarsi delle stagioni. Dall’alba al tramonto, sorella Maria si alterna tra la chiesetta e la casa, il giardinetto e l’orto. E ogni stagione regala frutti e colori diversi: in primavera e in estate tanti fiori e profumi, e il canto delle cicale. Ma anche le foglie dell’autunno e il candore della neve, in inverno, sono buoni compagni di preghiera. Come lo sono il vento e la pioggia che bussano alle finestre, e che qua hanno un canto particolare.
Tutti i giorni un’unica uscita: quella per la Messa nella parrocchia del borgo vicino, e per ritirare la biancheria dalle chiese della zona. Poi preghiera e silenzio: «Vivo una vita molto semplice, dove preghiera e lavoro si intrecciano continuamente, dove il silenzio e la solitudine sono una dimensione indispensabile della giornata per l’ascolto della Parola di Dio, nucleo vitale di ogni vita interiore». Pregare in questo eremo, quasi disperso tra i dolci colli dell’aretino, ha un gusto tutto particolare: «La preghiera nasce dal cuore come risposta a un Amore che interpella, che chiama incessantemente. Il silenzio serve per captare ogni più flebile richiamo, e la solitudine ci addestra a riconoscerlo e a rispondervi senza distrazioni».
Un silenzio che non è mai fine a se stesso, né autoreferenziale. Perché nell’antica canonica arrivano, con garbo e molta discrezione, amici vecchi e nuovi, cercatori di pace e di consolazione, cercatori di infinito: «La solitudine mi immerge in ogni latitudine del pianeta e, come dice Etty Hillesum, “si vorrebbe essere balsamo per molte ferite”, ma si partecipa anche all’incredibile forza della vita». Ma c’è anche chi sale solamente per portare un po’ di verdura, patate e pomodori, frutta fresca o qualche dolcetto fatto in casa. Sorella Maria riceve con stupore questi doni, spesso prepara un caffè a chi ha avuto per lei «la carità di un pensiero». E capita che, qualche volta, su due piedi, metta su un pranzo semplice e povero per un prete o un frate di passaggio, o per un pellegrino smarritosi tra i campi dorati dell’alta Val Tiberina.
Poi, quando arriva la notte, il silenzio avvolge l’eremo, quasi a proteggerlo. Si spegne la luce della grande cucina, rimane solo quella, tremolante, della lampada eucaristica in chiesa. Con la Compieta muore il giorno, e sorella Maria lo riconsegna al Signore, prima del riposo notturno. La luna, dal cielo, illumina l’antico selciato in pietra davanti alla casa. Il silenzio canta allora un inno maestoso di serena letizia. Domattina presto, sorella Maria inizierà una nuova giornata di preghiera, lavoro, contemplazione e ascolto: «Sono grata a Dio per questi doni, per questi miei giorni qui, nascosti e umili. E quasi inutili, se non appartenessero a Dio».
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