Il marchio della persecuzione
Tra ottobre 2022 e settembre 2023 sono stati oltre 365 milioni (5 milioni in più rispetto all’anno precedente) i cristiani perseguitati, con un livello definito «alto», nel mondo; 317 milioni quelli che hanno invece subito un livello «estremo» (in 50 Paesi). Siamo dinanzi a un fenomeno che coinvolge praticamente un cristiano su sette, uno su cinque in Africa e addirittura due su cinque in Asia. Una situazione drammatica, fotografata dal recente rapporto World Watch List 2024, curato dalla onlus Open Doors/ Porte aperte. Il Paese in cui i cristiani sono più a rischio è la Corea del Nord, seguito da Somalia, Libia, Eritrea e Yemen. Segue poi la Nigeria (che ha il record di cristiani rapiti e uccisi) e la zona del Sahel in genere, a causa della forte presenza di gruppi islamisti. Al settimo posto troviamo il Pakistan, seguito da Sudan, Iran, Afghanistan e India (lo Stato con il maggior numero di cristiani arrestati) e poi Siria e Arabia Saudita, tutti Paesi nei quali «la fede cristiana va vissuta nel segreto, perché, se scoperti, i cristiani – soprattutto quelli convertiti – rischiano la morte», denuncia il rapporto. Al quattordicesimo posto incontriamo il Mali e poi l’Algeria e l’Iraq. L’Iraq, in particolare, è stato il Paese che, negli anni del sedicente Stato islamico, ha registrato tra i più alti tassi di persecuzione mai raggiunti nei confronti dei cristiani. Le ricordiamo tutti, infatti, quelle immagini che giungevano nelle nostre case da una Mosul occupata dai miliziani islamisti dell’Isis, nell’agosto del 2014, e la scia di violenza che a tale occupazione fece seguito per mesi.
È stato proprio guardando quelle stesse immagini che un gruppo di credenti di Rimini sentì di non poter restare semplicemente a guardare quanto stava accadendo, ma decise di fare qualcosa. E la prima cosa che si resero conto di poter fare (oltre che la più potente, fondamento di ogni altra azione) fu di pregare per quel popolo martoriato. Nacque così, nell’agosto di dieci anni fa, il comitato Nazarat (traslitterazione della parola araba che comincia con la lettera Nun, «nazareno», con la quale venivano contrassegnate dai terroristi dell’Isis le case dei cristiani, per indicare i luoghi da espropriare e nei quali esercitare la loro cieca violenza) che diede avvio a un’iniziativa di preghiera comunitaria, denominata «Appello all’Umano», proprio a sostegno dei cristiani perseguitati. Un’iniziativa che prosegue ancora oggi e che, nel frattempo, da Rimini, dove è sorta, si è estesa a molte altre città sia in Italia sia all’estero (Cesena, Bologna, Prato, Siena, Perugia, Cattolica, Loreto, Forlì, Ravenna, Udine, Cremona, Busca, Milano, Andora; e poi Siria, Iraq, Svizzera…).
In pratica, ogni mese, il giorno 20 (data puramente convenzionale), verso sera, gruppi di cristiani si riuniscono in preghiera, in una sorta di staffetta della fede che vuole aprire squarci di speranza in un mondo lacerato dalle guerre e dalle persecuzioni. Al momento iniziale di vera e propria preghiera (in genere, il Rosario) fa seguito, quando possibile, l’ascolto della testimonianza di una persona che è stata perseguitata a causa della sua fede (o la lettura di un brano che racconta episodi di persecuzione). Molti i testimoni ascoltati in questi anni: laici, sacerdoti, religiosi, vescovi, giornalisti dalla Siria, dall’Iraq ma anche dalla Nigeria, dal Kenia, dal Pakistan, dal Bangladesh. Infine, al termine dell’incontro, ogni volta si procede con una raccolta di fondi per aiutare concretamente i perseguitati. Va sottolineato che, nel corso degli anni, il denaro raccolto è sempre stato devoluto direttamente a chi ne aveva bisogno: famiglie perse guitate in Siria, parrocchie ad Aleppo, conventi a Damasco….
La preghiera si svolge in genere nelle piazze, per rispondere a quella chiamata alla «Chiesa in uscita» tanto cara a papa Francesco, ma ci sono anche 27 monasteri di clausura che a tale preghiera si uniscono dal silenzio dei loro chiostri. L’incontro di Rimini si tiene da sempre in un luogo molto caro al mondo antoniano, quella piazza Tre Martiri dove sorge il Tempietto secentesco che fa memoria di uno dei miracoli più noti di sant’Antonio, il cosiddetto «miracolo della mula» (a una mula, tenuta a digiuno per giorni, vennero poste innanzi, da una parte, della biada e, dall’altra, un’ostia consacrata: essa, nonostante la fame, non si gettò sul cibo, ma si inginocchiò dinanzi all’eucaristia, dimostrando così a un eretico che aveva sfidato sant’Antonio che in essa vi è la vera presenza di Cristo, ndr).
«Da subito – spiegano gli iniziatori del progetto –, abbiamo capito che non potevamo rimanere indifferenti di fronte alla distruzione e alla diaspora di un popolo, come quello cristiano, che da sempre ha abitato le terre della Piana di Ninive in cui si parla ancora aramaico, l’antica lingua di Gesù. Ma nel tempo il nostro sguardo si è allargato e così oggi preghiamo per tutti i perseguitati, cristiani e non, perché dinanzi alla violenza si perde l’umanità. Questa preghiera è l’affermazione della Signoria di Cristo, che tutto può, su ognuno di noi. È l’inizio del nostro cambiamento. Perché la preghiera è l’agente di cambiamento più potente della storia».
Lo stesso papa Francesco ha più volte richiamato l’attenzione dei credenti sul dramma delle persecuzioni religiose: «Il mondo odia i cristiani per la stessa ragione per cui ha odiato Gesù, perché Lui ha portato la luce di Dio e il mondo preferisce le tenebre per nascondere le sue opere malvagie», ha ricordato per esempio nel corso dell’Angelus, del 26 dicembre 2016. O, ancora, il 30 gennaio del 2017: «Una Chiesa senza martiri è una Chiesa senza Gesù. Loro con il loro martirio, la loro testimonianza, con la loro sofferenza, anche dando la vita, seminano cristiani per il futuro», richiamando il famoso detto di Tertulliano: «Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani».
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