27 Dicembre 2024

Abbandono e metamorfosi delle case cantoniere

In Italia le «case rosse» lungo le strade statali sono 1244, 544 delle quali sono ancora «operative». La maggior parte è abbandonata o ceduta ad associazioni o piccoli imprenditori.

Abbandono e metamorfosi delle case cantoniere

Ricordo le «case rosse» come presenze abituali, protagoniste del paesaggio, compagne rassicuranti dei miei viaggi in automobile assieme a mio padre. Ero bambino e ci divertivamo a contarle. A volte ci fermavamo per fotografarle con una vecchia kodak a soffietto. Quasi credevo che facessero parte di una geografia naturale: c’erano sempre, ai lati delle strade, come gli alberi o i fiumi. Sono sempre state, per me, prima da bambino e poi da adulto, un punto di riferimento. Alla fine ho trovato, per i casi del web, sulla rivista «Medea», un breve saggio di Sergio Contu, antropologo sardo. Sulle case cantoniere (Le case rosse. Case cantoniere: biografia culturale di un patrimonio culturale minore). E così scopro che il loro nome deriva da canton, una parola provenzale che identifica un tratto di strada lungo al più quattro chilometri. Sergio Contu non si occupa per caso di questi edifici che, dal 1935, in forza di una circolare ministeriale, devono essere tinteggiati di «rosso pompeiano». Il nonno di Contu era stato «stradino», il padre e i suoi fratelli hanno proseguito il suo lavoro diventando a loro volta «cantonieri». La statale 125, «Orientale Sarda», è stata la casa familiare del futuro antropologo, vi hanno abitato i suoi parenti più stretti. 

La necessità di una presenza fissa di operai lungo le strade italiane nacque proprio in Sardegna. Merito di un ingegnere piemontese, Giovanni Antonio Carbonazzi: nell’agosto del 1820 era nell’isola, allora parte del Regno di Sardegna, come tecnico per controllare lo stato dei ponti e delle strade. Il suo giudizio fu impietoso: le strade sarde erano abbandonate e disastrate. L’ingegnere suggerì la necessità di creare un corpo di operai specializzati per la manutenzione delle strade. Il suggerimento di Carbonazzi fu accolto solo dieci anni dopo: nel 1830 venne creato il primo nucleo di lavoratori delle strade, ma solo nel nuovo regno d’Italia, nel 1874, venne istituito un vero corpo di cantonieri.

Con compiti non da poco, il decreto prevedeva che: «In ciascun giorno dell’anno il cantoniere deve trovarsi sulla strada dall’albeggiare al tramonto, e percorrere tutta la lunghezza del suo cantone per applicare preferibilmente l’opera sua a quei luoghi che maggiormente abbisognano di essere riparati. Non ostante poi qualsiasi intemperie, il cantoniere non deve abbandonare il tratto di strada affidatogli, ma ricoverarsi nel più prossimo luogo per riprendere il lavoro appena lo potrà e per accorrere ad ogni bisogno». I cantonieri diventarono i «custodi» e i santi protettori delle strade italiane, si cominciò a costruire le case che dovevano offrire rifugio. Paolo Teobaldi, scrittore marchigiano, scrive, nel suo romanzo Macadàm, che il cantoniere deve essere «metà muratore e metà contadino, metà geometra e metà giardiniere, metà selcino e metà potatore, metà autista e minatore: non per niente la patrona dei cantonieri era Santa Barbara». 

E oggi? Alcune di queste case ospitano ancora i cantonieri superstiti, ma la maggior parte è abbandonata (intonaci scrostati, tetti in pericolo) oppure ceduta ad associazioni o piccoli imprenditori che hanno qualche idea di come trasformarle. È che non esiste un censimento. O meglio, le «case rosse» lungo le strade statali appartengono, attraverso l’Anas, allo Stato: e sono 1244, 544 delle quali sono ancora «operative», usate tutt’oggi come magazzini o per ospitare gli operai impegnati nelle manutenzioni. Le altre (quelle che sorgono lungo le strade regionali o provinciali) sono passate alle regioni o ai comuni e nessuno sa dire quante sono e quale sia il loro stato. La Regione Lazio ha realizzato una pagina web (www.casecantoniere.lazio.it) con la mappa degli edifici stradali di sua proprietà: una buona parte di essi, trentasette, ha già trovato chi si è offerto di gestirli. Una superficiale esplorazione del web rivela come un buon numero di queste «case» sono diventate sede di associazioni culturali e luoghi di musica: sala prove, discoteche, pianobar.

Ben si capisce: quasi tutte si trovano in luoghi isolati, nessuno protesterà per la musica. Sono così conosciute dalla gente del posto che quasi sempre hanno un nome preciso: casa Lombacca, a La Spezia, è destinata a far parte di un complesso polo musicale; casa Olimpia al Sestriere - la costruzione originale è del 1864 -, lungo la statale 23, un tempo era rifugio, in caso di bufere di pioggia e neve, dei cantonieri, e nei prossimi mesi sarà inaugurata come centro culturale. A Cagliari, lungo la statale 125, già, proprio dove hanno lavorato per decenni e decenni i familiari dell’antropologo Contu, una casa cantoniera è stata utilizzata come studio di registrazione. Più infelice il destino della casa di Borgo Sabotino, in terra di Latina: doveva essere un luogo di cultura e, invece, in questa fine anno ha di nuovo chiuso i battenti. Invece la casa di Acquabona, frazione di Cortina d’Ampezzo (BL), ospita sia un ufficio dell’Anas che la Fondazione Dolomiti Unesco. Ad Agnone, in Molise, era nata una Casa Cantoniera della Musica. Da febbraio, la casa rossa di Limone sul Garda, in provincia di Brescia, ospita la sede della Croce Bianca. 

Se volete esplorare le mappe delle case cantoniere italiane, viaggiate in una sorprendente pagina Facebook (Strade, case cantoniere e pietre miliari), amministrata da un appassionato pratese, «cercatore» infaticabile di «case rosse»: si chiama Gianluca Caramelli, gira l’Italia in motocicletta e fotografa le cantoniere che incontra, pubblica le foto e la pagina che ha creato ha poco meno di 10 mila iscritti. Che a loro volta inviano le loro foto. In cinque anni di vita, è nato, così, un grande archivio fotografico e geografico (viene indicata con precisione la loro localizzazione) delle case cantoniere.

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Data di aggiornamento: 27 Dicembre 2024

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