Donne, ovvero l’arte della tessitura
«Tessere la pace». Si dice così. Molto più di quanto si dica «costruire la pace», «lavorare per la pace», «cercare la pace». Se si parla di pace viene questo verbo delle donne. Tessere. Delle donne? Il Salmo 139 al versetto 13 dice: «Mi hai intessuto nel seno di mia madre». Dio, si intende. Dio che fa questo mestiere «da donne» e che lo fa nell’atto della creazione, nell’atto di dare la vita individuale, la nostra preziosa vita. Proprio me, hai intessuto, proprio io sono il frutto del tuo lavoro di tessitura. C’è un filo – un filo appunto – che percorre tutta la Bibbia, un filo che lega il femminile a Dio. Lo hanno seguito ed esplorato le teologhe del femminile, soprattutto alla fine del secolo scorso, e i teologi che lo hanno ignorato o irriso sono stati davvero pochi, perché il filo c’è e non si possono sopprimere le parole nella Bibbia. Non si sceglie quel che la Parola di Dio ci consegna. E poi, perché? Perché se l’uomo e la donna sono immagine di Dio, insieme lo sono, Dio non dovrebbe avere caratteri di entrambi?
Oggi non sappiamo nemmeno dove accade la tessitura. La fanno le macchine, da qualche parte nel mondo. La rivoluzione industriale è nata anche dalle macchine tessili, lo studiamo a scuola, e c’è stato un tempo in cui le persone si sono ribellate e le hanno distrutte, come nemiche, perché sottraevano il lavoro all’uomo. Alle donne. Oggi tessere a mano è diventato carattere distintivo di creazioni (la moda le chiama proprio così) di qualità. Tessuto a mano significa prezioso, unico, addirittura pensato e ideato da qualche artista, spesso. O tramandato, eredità custodita dentro la famiglia. Però se ci pensiamo bene, ce l’abbiamo un’immagine moderna, bella e amica del tessere maschile. La foto iconica – si dice così, vuol dire che è un’immagine correlata al simbolo – del Mahatma Gandhi davanti alla ruota della tessitura. Bellissima immagine di pace e ribellione, insieme. La Grande Anima Gandhi si ribellava al dominio inglese. Ci si può ribellare pacificamente, in modo nonviolento. Bisogna essere creativi, trovare dentro di sé l’idea giusta e acquisire le competenze necessaire. Gandhi contestava i tessuti importati perché l’industrializzazione senza controllo, i meccanismi dello sfruttamento del capitalismo non governato avevano, così scriveva, ucciso milioni di lavoratori, che lui chiamava fratelli e sorelle. Allora individuò nel khadi, il tessuto tradizionale di cotone, seta o lana, lavorato a mano in telai tradizionali, il simbolo della ribellione pacifica allo sfruttamento coloniale.
È bella questa rappresentazione del tessere pacifico, anche se i tempi recenti sovrappongono a questa un’immagine molto più tremenda, quella di Iqbal Masih, il bambino pakistano tessitore di tappeti ucciso nel 1995 mentre cercava di dare voce alla schiavitù dei piccoli tessitori al servizio del commercio feroce che rifornisce il primo mondo. Tessere è un’arte. Viene tramandata e non la si impara da soli. Anche Gandhi faticò a trovare chi gli insegnasse a tessere. Si distende dal passato al presente. Bisogna trovare un maestro o una maestra, generosi, disposti a condividere il segreto di gesti unici in una relazione generativa. Consiste nel tenere insieme tanti fili e nel portarli a costruire una trama, qualcosa di nuovo, del tutto nuovo. Chiede la pazienza dell’attesa. Non c’è stoffa o tappeto che siano pronti in un click. Portano in sé la sapienza della tradizione e si aprono al futuro.Dio tessitore di umanità è una bella immagine per il mese di marzo.
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