Il sussurro divino delle rocce
Alti speroni rocciosi e montagne dal volto in apparenza arcigno fanno da cornice ad antichi santuari dal fascino millenario, costruiti totalmente in pietra. In Val d’Aosta, la roccia ollare dalle sfumature verdi smeraldo ha da sempre caratterizzato, oltre che l’ambiente, la cultura locale, sia sotto l’aspetto architettonico sia per quello legato alle leggende della tradizione. L’identità degli edifici sacri valdostani è infatti fortemente associata a questa pietra (che si può facilmente intagliare ed è per questo molto utilizzata) che viene quasi animata dalla natura circostante ed è capace di esprimere un senso di spiritualità senza tempo, perché ogni sasso, lavorato artigianalmente o ancora grezzo, segnato dal trascorrere dei secoli, emana un profondo senso di adesione ai valori morali e religiosi. Non a caso, nelle feste tradizionali legate al culto dei santi Pietro e Paolo (molto venerati in Val d’Aosta), la roccia e la natura sono integrate nei ritmi e nelle celebrazioni, così come sono numerose le croci e le cappelle votive edificate sui picchi più scoscesi quasi a invocare la protezione divina contro l’imprevedibile furia della natura.
In questa regione montana per eccellenza, le cime rocciose sono da sempre considerate il punto d’incontro tra il divino e l’umano, mentre le valli richiamano folle di pellegrini in cammino e spesso ospitano o hanno ospitato schiere di eremiti. Simboli di protezione, sicurezza, salvezza e stabilità, le rocce sono un punto fermo in un mondo in continuo cambiamento, la cui purezza inalterata è anche emblema di integrità.
Ascoltando la voce della natura
Già nel VI secolo d.C., sant’Orso scelse proprio questo territorio come personale dimora, entrando nella leggenda con un nome connesso a uno degli animali più venerati tra le rocce. Nei boschi valdostani, infatti, non è raro ancora oggi incontrare famiglie di orsi bruni, amanti di queste zone selvagge e il cui letargo si trasforma in metafora esistenziale: il sonno invernale paragonato a una fine apparente, seguito dal risveglio primaverile, simile a un ritorno in vita.
Tra queste stesse pietre, don Maurizio Pellizzari, parroco di Challand-Saint-Victor, in Val d’Ayas, non si lascia sfuggire l’opportunità di fare una passeggiata mattutina lungo la sponda della Dora Baltea, tra boschi di faggi e noccioli, seguendo gli stessi passi del santo locale protettore della natura. «Ho scelto con entusiasmo la possibilità di vivere soltanto a contatto diretto con “la voce delle rocce” – conferma don Maurizio –. Qui è possibile condurre una vita serena, ritrovando quella solitudine necessaria per dialogare apertamente con il Signore e vivere al ritmo della natura».
Le rocce della salvezza
Poco più in là, nella stessa valle ma dietro un altro costone roccioso, si erge un secondo eremo, ancora più imponente del primo: è il santuario di Machaby, in stile barocco, dedicato alla Madonna delle Nevi, una meta molto amata dai viandanti in cerca di silenzio e contemplazione. Anche la natura sembra conformarsi alla sacralità di questo luogo, perché, a un tratto, la vallata cambia forma, diventando simile a una culla verdeggiante ed è proprio qui che è stato accolto l’edificio religioso principale, con accanto la chiesetta parrocchiale dedicata a San Martino. Con le sue croci – ancora in pietra ollare – e le numerose statue litiche (cioè scolpite in pietra), il santuario di Machaby è dunque uno scrigno tutto da scoprire, dotato di una bellezza così eterna da regalare un profondo senso di elevazione spirituale e di crescita interiore.
Gli aneddoti tramandati dalla tradizione orale vedono come protagonista la roccia che circonda il santuario, a oggi un centro di forte devozione mariana. Una leggenda narra, infatti, che una caverna vicina fosse il punto di reclusione di alcuni prigionieri rapiti da una strega e da un diavolo. Fu uno dei reclusi, una fanciulla particolarmente devota, a esortare gli altri a raccomandarsi alla Vergine e, a questa invocazione, la Madonna rispose indicando loro un punto di fuga tra le rocce. Oggi Machaby è un tripudio di percorsi contemplativi senza paragoni, ed è inserito nell’elenco dei cosiddetti «santuari a répit», ovvero del ritorno alla vita: luoghi in cui, secondo la tradizione, i neonati morti prima di poter essere battezzati venivano portati dai parenti per ricevere (dopo un loro impercettibile movimento che avrebbe dimostrato che in essi c’era ancora un briciolo di vita) il sacramento che avrebbe risparmiato loro il Limbo.
A sottolineare la bellezza travolgente di questi luoghi è don Paolo Papone, oggi parroco di Valtournenche e Breuil-Cervinia, un altro uomo di fede che ha scelto una vita tra i monti per sentirsi più vicino a Dio. «Qui le pietre sono il punto di riferimento di discorsi e pensieri umani ma anche di speranze – conferma don Paolo –. Perché il territorio non offre solamente panorami mozzafiato agli amanti degli sport invernali, ma anche molti spunti per la meditazione personale». L’antica Cappella barocca di Breuil è dedicata alla Madonna degli Eremiti e sembra dipinta sullo sfondo candido, con una facciata calcarea tanto bianca e pura da apparire come un tutt’uno cromatico col chiarore delle montagne. «Anche soltanto ammirandola da lontano, è impossibile non far emergere naturalmente sentori di spiritualità di cui le rocce sono già pregne – continua don Paolo –. Sui monti ogni passo è preghiera e forza. È il respiro vitale che è grande in una terra piena di cultura e meraviglie naturali».
Mete di sogni e speranze
A pochi chilometri da Breuil, in Val Veny, quasi alle spalle della più turistica Courmayeur, si apre a ventaglio un altro gruppo di eremi leggendari. Ai piedi del massiccio del Monte Bianco, spicca all’orizzonte una nostrana Notre-Dame de la Guérison, Nostra Signora della Guarigione, edificio dall’architettura spiccatamente neoclassica e con una lunga storia alle spalle di pellegrinaggi e guarigioni. La tradizione vuole, infatti, che nel 1690 una donna qui collocasse una statuetta miracolosa della Vergine all’interno di una nicchia, nota come «Croix du Berrier» (parola, quest’ultima, che nel dialetto locale sta a significare «masso»). «Nella valle esistono innumerevoli luoghi contraddistinti da questo toponimo – sottolinea ancora don Maurizio Pellizzari – ed è proprio la presenza di una qualsivoglia roccia a essere sempre associata all’agognata meta per i pellegrini e a un evento di guarigione miracolosa».
«La voce delle rocce riecheggia nel silenzio: una sinestesia che caratterizza l’anima dei valdostani, i quali conferiscono alle pietre delle proprietà salvifiche», gli fa eco don Paolo. Dopo la ricostruzione di questa Notre-Dame valdostana, in seguito a un crollo nel ’700, le visite si sono fatte via via più intense, al punto che oggi il santuario è meta di numerose processioni, come è testimoniato dagli ex-voto presenti: sculture litiche e piccozze per ringraziare la Vergine di un miracolo ricevuto.
Echi divini dal ventre della montagna
Pochi passi ancora e un altro sentiero permette di raggiungere la località di Purtud (dal latino pertugium, cavità). In questo luogo i racconti popolari parlano di uno sperone roccioso che accolse in origine un altro eremo, poi divenuto la cappella di Saint Jean de Purtud: la pietra ollare qui si fa più aspra, specialmente vicino alla grande morena laterale, dove prima sorgeva un antico villaggio distrutto dall’avanzata del ghiacciaio della Brenva. «La natura non è sempre stata favorevole, ma tutte le forze sono qui collegate a una manifestazione del sacro – chiosa don Maurizio –. Gli abitanti, infatti, amano rapportarsi con una natura selvaggia, quasi cercando da essa la vera protezione. Mentre i viandanti che scelgono di peregrinare in questi luoghi sono alla ricerca di silenzio, ma non vogliono distaccarsi dalla realtà, perché nessuno qui è veramente solo. Sono davvero tante, infatti, le persone che vengono fin quassù anche solo per un consiglio».
Perché qui, tra queste millenarie montagne, una cultura ancora molto radicata nella tradizione fa intravedere nelle rocce l’anima donata da Dio, laddove quelle pietre rappresentano degli echi di salvezza in grado di esaudire sogni di speranza, grazie a un impercettibile sussurro divino che infonde pace e serenità.
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