«La poesia ci serve, disperatamente»

Riscoprire la bellezza significa ripartire dai sentimenti e dalla passione di vivere: la vita cresce solo per seduzioni. E la seduzione, la passione, nascono dalla bellezza. E dalla poesia, che ci serve, sempre di più, disperatamente.
18 Febbraio 2025 | di

Alzi la mano chi di noi non ha provato, almeno una volta nella vita, a scrivere qualche poesia. Verba manent: checché se ne dica, le parole restano, anche se i miei modesti versi poetici probabilmente se ne voleranno via col vento. Eppure scriviamo e leggiamo, siamo colpiti, commossi, talvolta rapiti dai versi di Omero, di Leopardi, di Montale o della Dickinson. Oppure canticchiamo per anni le parole di canzoni che sono poesie in musica: quelle di De André, di Guccini, di Battiato o di Fossati, solo per citarne alcuni dei miei preferiti. Insomma, la poesia ci serve, disperatamente, come ho trovato scritto su un muro di Palermo nel 2023, anche se non sappiamo esattamente il perché. Forse perché le parole sono intrinsecamente legate alle emozioni, le suscitano e le esprimono.

Le parole sono creature viventi, ci ricorda Hugo von Hofmannsthal, hanno una loro vita e plasmano la vita. Ho sempre amato le parole, fin da piccolo, ne intuivo la potenza, celata dentro suoni che andavo scoprendo con curiosità e sorpresa. Durante la mia lunga formazione ho imparato a conoscerne le radici e le vette, le suggestioni e le ambiguità, la fragilità e il potere. Sì, le parole sono potenti. Gorgia, il principe dei sofisti e maestro di incantamenti verbali, ce lo ricorda nel suo Encomio di Elena: «La parola è un gran dominatore che con piccolissimo corpo e invisibilissimo, divinissime cose sa compiere; riesce infatti a calmare la paura, a eliminare il dolore, a suscitare la gioia, ad aumentare la pietà» (Gorgia, Encomio di Elena, 8). La parola è un potente sovrano, capace di calmare la paura e suscitare gioia. E di curare, perché non esiste nulla che non possa essere curato con le parole. E Dio sa, quanto abbiamo bisogno di parole che sanano (Cfr. S. Olianti, Impariamo a meditare, Emp).

In ogni poesia, in un certo senso, si riattiva sempre la capacità umana di produrre senso nominando le cose per la prima volta: «I poeti, è ormai chiaro, accostando immagini in modo creativo, rifanno sempre e di nuovo il percorso originario che ha creato la mente, spazio virtuale necessario all’uomo per inventare il senso: questa è stata precisamente l’arma che la nostra specie si è creata per vincere la sfida della selezione darwiniana. L’umanità se ne è dimenticata, non lo sa più, ma i poeti ci fanno sempre e di nuovo vedere il meccanismo del senso allo stato nascente, o forse, addirittura, la mente allo stato nascente. Per questo [...] la nostra specie non sarebbe ciò che è senza la poesia». (G. Manacorda, Poesia, in Lessico del XXI secolo, www.treccani.it, marzo 2015).

Quando leggiamo una poesia, siamo partecipi, sempre, della nascita di un significato che arricchisce la nostra consapevolezza e ci rende più umani. La poesia ci commuove perché il poeta, o la poetessa, ha dato una forma verbale a uno stato affettivo – un sentimento di sé, del mondo, della vita – che prima non era arrivato alla parola; e ci colpisce, perché scopriamo che riguarda anche noi. Perché la poesia ci serve? A che servono l’amore, la musica, la risata di un bambino? Ci salvano dall’insignificanza. «Nell’era  dell’intelligenza artificiale, non possiamo dimenticare che per salvare l’uomo sono necessari la poesia e l’amore. Ciò che nessun algoritmo potrà mai albergare sarà, ad esempio, quel momento dell’infanzia che si ricorda con tenerezza e che, malgrado il passare degli anni, continua a succedere in ogni angolo del pianeta» (papa Francesco, Dilexit nos, 20). 

Si narra che una volta Beethoven avesse eseguito una sonata per un amico che, dopo l’ultima nota, gli chiese: «Che cosa significa?». Beethoven tornò al piano, suonò ancora tutto il pezzo e rispose: «Significa questo». Non sempre ciò che è necessario per una vita significativa è anche utile. La poesia non incrementa il Pil e non dà da mangiare: Carmina non dant panem (le poesie non procurano il pane) ci ricorda il poeta Orazio. Eppure la poesia dà un nutrimento indispensabile a noi umani: uno sguardo contemplativo che sfiorando le cose le trasfigura e le rende veicolo di bellezza e di senso. Uno sguardo che illumina e che dà gusto a tutto. Anche Dio ci seduce con la bellezza; che è l’esca con la quale ci attrae a sé (Simone Weil).

Se l’etica, come credo, è l’affinamento della nostra bellezza interiore, si comprende come sia finalizzata all’estetica. Le parole hanno una storia e un significato che spesso va oltre il loro uso comune: il termine estetica deriva dal greco aìsthesis (percezione), la cui radice risale al verbo aisthànomai, che significa sento, percepisco. Nella sua radice etimologica estetica si riferisce a sensibilità, a qualcosa che tocca nel profondo, che incide, segna, appassiona, causa gioia o dolore. Estetica indica molto di più che il bello, il gradevole o l’armonioso. Se stiamo al significato originario della parola, «il contrario di estetico non è il brutto ma l’anestetico, l’insensibile, l’incapace di percepire emozione e dolore, l’algido, l’anaffettivo. All’opposto della vita estetica si pone l’anestesia del vivere, l’atrofia dell’esistenza. L’assenza di bellezza, di estetica conduce inevitabilmente con sé una anestesia del vivere che si riverbera nel rapporto con Dio e con la spiritualità: freddezza e distacco. Dio muore di noia nelle nostre chiese. Muore di indifferenza, non di contestazione o di lacrime» (Ermes Ronchi, Tu sei bellezza, Paoline, pp. 9-10).

La bellezza – ci ricorda Albert Camus – non fa rivoluzioni. Ma viene il momento in cui le rivoluzioni hanno bisogno della bellezza. Riscoprire la bellezza significa ripartire dai sentimenti e dalla passione di vivere: la vita non cresce, non matura per ingiunzioni o divieti, ma per seduzioni. E la seduzione, l’attrazione, la passione nascono dalla bellezza. E dalla poesia, che ci serve, sempre di più, disperatamente.

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Data di aggiornamento: 18 Febbraio 2025
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