La «vigna» del matrimonio
«In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”» (Gv 15, 1-8).
Né io né mia moglie siamo figli di contadini, ma una volta all’anno, insieme con altri amici e padri di famiglia, io vado a visitare una cantina vinicola e solitamente, in quella circostanza, ho occasione di vedere le vigne della proprietà. Nell’ultima visita l’enologo ci parlava della tecnica che utilizza per potare i tralci, affinché l’uva che spunterà possa avere un contenuto zuccherino né troppo basso né troppo elevato, ottenendo così un prodotto di qualità e successivamente un buon vino. Qui Gesù, a suo dire figlio di un Padre «agricoltore», ci porta nella sua personale vigna, quella della vita, quella di un cammino umano che, radicandosi nella sua Parola, produce lo «zucchero» di un profondo senso del vivere. Anche in questa vigna, affinché il prodotto finale sia di ottima qualità, ci sono rami da tagliare, altri da potare e una vite nella quale il tralcio deve rimanere ben innestato.
Prima di tutto è interessante provare a comprendere quale sia, nella nostra vita di coppia, il frutto buono che dovremmo far maturare. O, in altri termini, quale sia il fine ultimo del matrimonio, di tutti i matrimoni, anche del mio personale matrimonio con Chiara. Personalmente credo che il fine ultimo del sacramento che ho celebrato con Chiara sia quello di aiutarmi a realizzare un Edoardo compiuto nella propria umanità, un uomo capace di amare la propria moglie e i propri figli. Il matrimonio è un magnifico «strumento» per orientare il mio divenire persona, perché non sono ancora quello che desidero essere. Mi sprona continuamente a mettermi in discussione, a perdonare e a chiedere perdono, ad ascoltare e ad ascoltarmi, a conoscermi e a farmi conoscere, a cercare il giusto equilibrio tra chiedere e donare, tra leggerezza e profondità, tra apertura agli altri e capacità di custodire la relazione, e molto altro ancora.
Gesù chiede a noi sposi di tagliare con determinazione tutti quei tralci che non ci aiutano a far maturare questo frutto. «Tagliare», cioè, con tutte quelle cose della nostra vita che ci ostacolano nel divenire le persone capaci di amare che siamo chiamati a essere. Per esempio, possiamo tagliare tutto il tempo trascorso al cellulare guardando video stupidi e superficiali che non ci fanno crescere; possiamo tagliare tutte le forme di dipendenza (sostanze, alcol, pornografia, azzardo…); tagliare con altre donne/uomini che si avvicinano a noi o da cui siamo attratti; tagliare con le parole che feriscono e i comportamenti egoistici, con l’idea che sia sempre e solo responsabilità dell’altro se le cose non vanno bene; tagliare con gli atteggiamenti di chiusura che tengono lontana l’altra persona.
Se sono molte le cose con le quali devo tagliare di netto perché la vigna del matrimonio porti i suoi frutti, molte sono anche quelle che devo «solo» potare. Penso al tempo degli impegni fuori dalla famiglia, da potare per renderlo armonicamente compatibile con quello che mi garantisce di essere sufficientemente presente; penso al tempo del lavoro, ovviamente necessario, ma che non può essere sempre messo prima del tempo da dedicare alla relazione; al tempo dedicato alla frequentazione della famiglia di origine, sacrosanto, ma non prioritario rispetto a quello da riservare alla cura della mia nuova famiglia; vanno potati anche i miei legittimi bisogni personali, affinché si crei un rispettoso spazio anche per quelli del mio partner.
Per Gesù il taglio e la potatura sono necessari, ma è bene farli fare a chi se ne intende. E chi è miglior «agricoltore» in questo campo di suo Padre, pare dirci? È bene, infatti, non operare a caso, ma acquisire un metodo per prendersi cura della vigna del nostro amore di coppia e i criteri di tale metodo ce li fornisce Dio Padre «enologo». La prima accortezza, ma non l’unica, è che il tralcio del nostro matrimonio resti saldamente impiantato nella vite che è Cristo. Questo ci permetterà di portare molto frutto nella nostra capacità di amare, realizzando così matrimoni fedeli alla loro promessa. Auguriamo a tutti gli sposi di poter ottenere un’ottima uva per un grandioso vino!
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