Una speranza contro il cancro

I casi di cancro crescono in alcune zone del continente africano a un ritmo vertiginoso. Eppure, quasi ovunque manca un sistema sanitario accessibile che permetta diagnosi e cure. Una speranza giunge dalla ong italiana «Patologi oltre Frontiera».
01 Agosto 2025 | di

Guerre, carestie, malattie infettive. Nel­l’immaginario comune il continente africano è da decenni costellato di emergenze (da ultima quella climatica). Criticità tanto evidenti e impattanti da radicarsi ormai nell’immaginario globale. Quello che però in Occidente ancora si fatica a considerare è che anche in Africa, come nel resto del mondo, un male invisibile miete vittime senza farsi vedere (e, in molti casi, senza farsi nemmeno riconoscere). Oggi il cancro è divenuto un’emergenza reale soprattutto nell’Africa subsahariana: anche se attualmente la sua incidenza è simile ai Paesi europei e nordamericani, secondo l’Oms entro i prossimi venti anni il numero annuale dei casi è destinato a raddoppiare, arrivando a 1,4 milioni l’anno, e i morti di tumore nei Paesi africani al sud del deserto potrebbe raggiungere la cifra di 1 milione, circa il doppio dei 520mila registrati nel 2020. 

Le cause sono molteplici: mancanza di centri oncologici nelle aree rurali, la tendenza ad affidarsi a medicine tradizionali (più a buon mercato rispetto agli alti costi della terapia medica), lo stigma sociale associato al cancro, motivazioni religiose, la frequente instabilità politica e i conflitti che riducono ulteriormente le già precarie condizioni economiche e la disponibilità di fondi da dedicare alle cure sanitarie. A questo si aggiunga la scarsità o, in alcuni Paesi, la totale mancanza di professionalità specializzate. Tra queste, quella degli anatomopatologi, coloro che esaminano le cellule e i tessuti clinicamente sospetti rimossi tramite operazioni chirurgiche o biopsie. Sono delle figure basilari perché, identificando la natura della lesione asportata, forniscono informazioni fondamentali al medico sul tipo di cancro, sul suo grado di malignità e, per alcuni tumori, sul probabile profilo di risposta a determinati trattamenti. Non solo: il loro lavoro permette anche di stilare dei registri tumore, senza i quali i piani di sviluppo dell’oncologia e la loro gestione diventano problematici se non impossibili. È però evidente ancora oggi la drammatica carenza dei laboratori di diagnostica a sud del Sahara, dove solo un terzo degli ospedali maggiori gode di questo servizio (contro il 90% dei Paesi del Nord del mondo).

Nuove frontiere di cura

Un contributo importante al cambiamento arriva dalla ong italiana «Patologi oltre Frontiera» (APOF). Nata quasi 25 anni fa su iniziativa di un gruppo di anatomopatologi appartenenti al Comitato attività internazionali della Società italiana di Anatomia patologica e Citologia diagnostica, ha operato in tutto il mondo prima di concentrarsi in particolare sul Corno d’Africa. 

Questo «continente nel continente», che conta quasi 130 milioni di persone, si presenta come un’area dalla conflittualità mai sopita e dai forti interessi geopolitici. A Gibuti, ex colonia francese e porto strategico sul Mar Rosso, le basi militari straniere sono decine: mentre le potenze mondiali muovono qui le loro pedine, nei sobborghi della capitale sorge un’enorme baraccopoli chiamata Balbalà dove vivono 200mila persone con una densità di 5.600 abitanti per chilometro quadrato.

Per tutti, l’unico presidio sanitario è l’ospedale Cheiko, noto come «ospedale italiano» per i tanti interventi finanziati dalla cooperazione italiana. Qui, dove Gino Strada è stato direttore prima di fondare Emergency (tra il 1992 e il 1993), APOF ha realizzato un laboratorio di anatomia patologica e ha formato tecnici di laboratorio specializzati nel settore. «I casi di tumore diagnosticati sono ormai più di 300 l’anno, con un incremento costante del 20% – spiega Vincenzo Stracca, medico anatomopatologo, fondatore e presidente onorario della ONG –. Avere una diagnosi corretta è spesso difficile, per questo Patologi oltre Frontiera ha investito con lo scopo di istruire in loco, ma anche a distanza, tecnici e medici, fornendo un supporto diagnostico remoto». 

In particolare, quella della telepatologia è la nuova frontiera: l’avvento di moderni strumenti digitali ha permesso di trasformare i preparati cito-istologici, i cosiddetti «vetrini», in immagini digitali visibili sullo schermo di un computer e condivisibili anche a distanza. «Durante la pandemia da covid-19, l’uso della telepatologia nei progetti del Corno d’Africa ha avuto un ulteriore incremento, vista la necessità di fronteggiare i limiti imposti dal virus – continua Stracca –. Per assicurare la continuità diagnostica si è strutturato così un panel internazionale di professionisti esperti in vari settori dell’anatomia patologica, i quali hanno operato da remoto». Una tecnica che ha permesso ad APOF di salvare molte vite anche ad Hargeisa, la capitale del Somaliland, dove meno del 40% della popolazione ha accesso al sistema sanitario pubblico. Negli ultimi anni l’agenzia UNFPA ha documentato un significativo aumento delle neoplasie a causa di bassa attività fisica e di cattive abitudini alimentari. 

All’Hargeisa Group Hospital arrivano ogni giorno centinaia di persone, molte delle quali in fuga dagli scontri scoppiati a Las Anod, capoluogo della regione Sud Orientale del Sool, tra milizie antigovernative e l’esercito dello Stato. Si tratta di oltre 300mila sfollati che vanno ad aggiungersi alle 408mila persone in tutta la Somalia costrette ad abbandonare le proprie abitazioni a causa delle inondazioni e alle 312mila a causa della siccità. 

Nato in un piccolo villaggio di pastori, il direttore dell’ospedale, il dottor Askar, è riuscito a laurearsi all’Università nazionale somala prima di emigrare in Finlandia dopo lo scoppio della guerra civile. Da quando è tornato, ha collaborato con diverse ong italiane, compresa APOF, per aiutare lo sviluppo dell’assistenza sanitaria in Somaliland. La sua è una delle tante storie raccolte nel libro fotografico Beyond Borders appena pubblicato da Patologi oltre Frontiera per l’editore bolognese Pendragon (www.pendragon.it). Un viaggio per immagini e parole dentro le pieghe più intime di questa parte di mondo, il Corno d’Africa, dove l’urgenza è quotidianità. Attraverso volti, sguardi e racconti, il libro restituisce dignità a chi troppo spesso resta invisibile, offrendo uno sguardo umano e profondo su una realtà complessa ma carica di resilienza e desiderio di futuro. 

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Data di aggiornamento: 01 Agosto 2025
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