Viaggio nell'altra realtà

Termini come intelligenza artificiale e realtà virtuale possono provocare ansia, soprattutto ai non esperti in materia. Ecco un tentativo di capirli meglio, cercando di individuare dove possono sorgere i problemi «veri».
29 Luglio 2024 | di

«L’intelligenza artificiale entra in politica». Ecco il titolo che non avremmo mai voluto leggere, ed è invece apparso di recente a tutta pagina su un quotidiano. Poi, come spesso accade, il sottotitolo smorza l’allarme e ci dice che un sistema operativo denominato Savia sarà pronto per entrare in funzione a fine estate nell’Assemblea regionale dell’Emilia Romagna e domani, chissà, forse, in Parlamento; ed è progettato per essere un super consulente che valuta le leggi prima ancora che siano presentate all’approvazione dell’assemblea. Allora, cessato allarme? Beh, abbiamo capito che non sarà l’intelligenza artificiale a formulare d’ora in poi le leggi, roba da pelle d’oca. Semplicemente, Savia servirà per analizzare in modo più efficace e veloce i contenuti delle nuove proposte di legge e prevederne le conseguenze. Funzionerà dunque come aiuto al legislatore. In tema di intelligenza artificiale, mai abbassare la guardia. Ma se andrà davvero così, può rivelarsi cosa buona. Il punto fondamentale è che il sistema rimanga «valutativo». Mai, nemmeno lontanamente, dobbiamo immaginare che diventi «generativo», cioè che l’intelligenza artificiale scriva direttamente le leggi. Simili cose accadono, per ora, solo nei romanzi di fantascienza. 

Profezie errate

Già, proprio la fantascienza, oltre ai titoli allarmistici dei quotidiani, può trarci in inganno su questi argomenti, alimentando le nostre ansie con «profezie» quasi sempre allarmanti. Per di più, succede che le invenzioni della fantascienza e il linguaggio degli informatici funzionino come vasi comunicanti, e questo può creare confusioni e allarmi. Prendiamo, per esempio, il concetto di «metaverso». Che cos’è il metaverso? Per spiegare questo termine tecnico oggi molto in uso, dobbiamo risalire proprio a un autore di fantascienza, Neal Stephenson, specializzato nel cyber-punk, un sottogenere incline al pessimismo, alla visione di un mondo dove la libertà umana sarà completamente azzerata da mostruose macchine digitali. È stato lui, Neal Stephenson, nel lontano 1992, a inserire nei suoi romanzi l’invenzione del metaverso, da lui immaginato come un complesso sistema operativo, regolato da creature demoniache, che genera uno spazio tridimensionale immaginario all’interno del quale le persone reali possono muoversi attraverso un loro avatar, cioè una loro duplicazione virtuale. Siamo nel mondo della pura immaginazione. Eppure, passati molti anni, di recente è piaciuto agli addetti ai lavori di rimettere in uso questo suggestivo termine dimenticato, metaverso, per indicare quella che con linguaggio freddamente tecnico è definita «realtà virtuale».

Beh, anche questo di realtà virtuale può diventare un concetto ansiogeno. Ma se restiamo coi piedi per terra, consultare un buon dizionario della lingua italiana servirà per raffreddare le emozioni. Realtà virtuale: «Situazione simulata dal computer, che ha tutte le caratteristiche di una situazione reale, e rispetto alla quale è possibile interagire». Non che adesso sia tutto chiaro, per carità, ma abbiamo capito che la realtà virtuale, traduzione in termini di scienza informatica della fantasiosa immagine del metaverso, è uno spazio tridimensionale virtuale, cioè non reale, all’interno del quale persone fisiche possono muoversi e interagire, come abbiamo già detto, attraverso il proprio àvatar. E su àvatar, altro termine a metà strada tra fantascienza e mondo informatico, ci può dare qualche suggerimento il film omonimo, uscito nell’ormai lontano 2009 e diretto da James Cameron, il regista, per intenderci, di Titanic. Ma ancor più interessante è curiosare sull’origine di questa parola. È coniata su un vocabolo antico, avatàra, vocabolo appartenente al sànscrito, cioè a un antico linguaggio che risale all’India del decimo secolo avanti Cristo, e indica la reincarnazione. O meglio, nella tradizione induista, la capacità di un dio di prender possesso di un corpo. Avatàra, infatti, significa letteralmente «colui che discende». 

Parole e concetti che in una tradizione religiosa millenaria hanno riguardato l’aldilà vengono trasferiti, dal mondo informatico e dal suo marketing, nell’aldiquà. Prendiamo un altro esempio: Apple. Qui il marchio con la mela morsicata allude nientemeno che alla Bibbia, Genesi capitolo 3, racconto del peccato originale, e sembra quasi messo lì per suggerire l’idea di un uomo che ormai, grazie ai prodigi dell’informatica, può bastare a se stesso (e non ha bisogno di Dio).

Il dominio dell’immagine

Tornando alla realtà virtuale, le cronache dei primi mesi di quest’anno si sono aperte con una notizia inquietante: una ragazza inglese, un’adolescente, ha denunciato di esser stata violentata nella realtà virtuale. E, ancora più inquietante, la polizia inglese avrebbe aperto un’indagine sul caso. L’avatar dell’adolescente, cioè, muovendosi nella realtà virtuale o metaverso in cui si trovava, sembra sia incappato in altri avatar, adulti e aggressivi, che l’avrebbero violentata, violentando attraverso esso la ragazza stessa, che peraltro non portava, dopo, alcun segno fisico della violenza, dato che si trattava di un’esperienza puramente psichica. Sembra un gioco di specchi, fatto apposta per confonderci.

Dobbiamo ancora una volta mettere in pausa le nostre emozioni e le nostre reazioni, e osservare questi nuovi fenomeni per tentare di capirli. La vita, soprattutto dei più giovani, sembra ormai soggiogata dal dominio dell’immagine. E allora, forse, per capire meglio, può darsi che ci serva risalire all’origine storica di questo dominio dell’immagine. Dobbiamo fare un salto indietro di più di cent’anni. Vediamo.
28 dicembre 1895. Nel Salon Indien del Gran Café, al n. 14 del Boulevard des Capucines a Parigi, i fratelli Louis e Auguste Lumière hanno riunito un discreto pubblico e l’hanno invitato a sedere di fronte a una parete bianca. Poi, calate le luci, dalla parete si è vista irrompere verso gli spettatori, sbuffante e minacciosa, una locomotiva con un intero treno al traino; ed è lecito pensare che qualcuno abbia provato un attimo di spavento. Era la prima proiezione cinematografica.

In quel giorno era nato il cinema, e con esso si era aperta una nuova era nella storia della comunicazione umana. Di lì nasce la storia avventurosa del rapporto dell’uomo con l’immagine in movimento. Ma attenzione: il breve filmato dei fratelli Lumiere era, già di per sé, realtà virtuale, ecco il punto! Sullo schermo bianco, infatti, non c’era alcun treno reale, né traccia di una stazione o di passeggeri, ma, grazie al prodigio tecnico della geniale invenzione, prendeva corpo, spente le luci, un treno virtuale, creato dalla combinazione dei nostri sensi e della nostra psiche con dei segnali mandati da una macchina. Certo, tra l’Arrivée du train e le visioni iperrealistiche attuali c’è di mezzo più d’un secolo di ricerca e di perfezionamento tecnico, ma le sorprendenti immagini di oggi sono figlie o nipoti di quelle che avevano stupito i nostri avi allora. 

L’interazione fa la differenza

C’è però anche una differenza sostanziale di cui tenere conto. Nel cinema le immagini proiettate creano un mondo in movimento che vive di fronte allo spettatore. Lo spettatore vi si può identificare, con un processo che gli psicologi ci dicono simile al sogno, ma rimane un mondo al di fuori. Nella realtà virtuale invece, il soggetto «entra» nel sogno. Indossa un visore, spesso incluso in un casco con cuffie per rendere più presente ogni suono. Se gira la testa da un lato o dall’altro, dei sensori mutano la visione dell’ambiente virtuale, proprio come nella realtà. Poi ci sono i guanti, per comandare movimenti. Nelle forme più avanzate c’è persino una cybertuta, che avvolge tutto il corpo e permette a chi la indossa di sentirsi tattilmente presente nell’ambiente.

Così siamo di fronte a una modificazione non solo delle abitudini dell’uomo ma, in prospettiva, dell’uomo stesso nelle sue facoltà visive e immaginative. E poi siamo davanti alla totale solitudine di chi fa esperienza di realtà virtuale. Non esiste più un pubblico insieme al quale reagire. Qui l’interattività è tra me e un sistema informatico complesso che altri hanno programmato. È vero: intelligenza artificiale e realtà virtuale ci aprono orizzonti fino a qualche decennio fa impensabili. Di qui nasce una domanda ineludibile: chi avrà il controllo di questi nuovi super-poteri? Nell’improvviso sprigionarsi di queste nuove possibilità scopriamo una posta in gioco che è davvero preziosa: la nostra libertà.

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Data di aggiornamento: 29 Luglio 2024
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