Voglia di imperi
Un quesito ricorrente agita le cancellerie e i premier di mezzo mondo: per quale motivo autocrazie come Russia e Cina sono così «spaventate» dalle democrazie di cui continuano a profetizzare la decadenza e lo sgretolamento? «L’interesse della Russia è quello di trasformare la decadenza dell’Occidente in un’occasione per ripristinare la dimensione imperiale di Mosca ovvero la capacità di esercitare un’influenza diretta non solo sul proprio territorio, ma anche su Stati che si trovano fuori dai confini della Russia. Si tratta di una declinazione imperiale “tradizionale”. Mentre nel caso della Cina, lo sfruttamento della decadenza occidentale ha a che vedere con la competizione economica con gli Stati Uniti per il primato del Prodotto interno lordo del pianeta. Pechino vede nel primato della globalizzazione il vero obiettivo da perseguire con strumenti e investimenti più adatti alle dinamiche del XXI secolo». A sostenerlo è Maurizio Molinari, direttore del quotidiano «la Repubblica» e direttore editoriale di tutte le testate del Gruppo Gedi. Già inviato in Medio Oriente, nel Nord Africa, nei Balcani e negli Stati Uniti, è uno dei massimi esperti di geopolitica e relazioni internazionali. Per i tipi di Rizzoli ha pubblicato il saggio dal titolo Il ritorno degli imperi. Come la guerra in Ucraina ha stravolto l’ordine globale.
Msa. Fino al febbraio del 2022, ci eravamo illusi che il mondo fosse diventato un unico villaggio interconnesso che aveva liquidato la logica desueta delle guerre planetarie, destinate a non avere vincitori. Eppure è bastato un anno perché si riaffacciassero tutti gli spettri del 1914 e del 1939.
Molinari. La genesi di questa crisi è nella volontà di Putin di iniziare la guerra. C’è un momento preciso, quando lui fa il discorso tre giorni prima dell’invasione dell’Ucraina, nel febbraio del 2022, in cui dice che non esiste l’Ucraina, non esiste la sua cultura, né la sua lingua né la sua storia, ma che l’Ucraina è una costola della Russia. Questo è un discorso imperiale di stampo ottocentesco, ed è il motivo per cui Putin continua a dedicare grandi risorse economiche, industriali, militari e umane alla guerra. Il suo esito dipende dalla capacità dell’Ucraina di resistere, poiché la Russia è dotata del secondo esercito più potente del mondo. Se l’Ucraina riesce a resistere, il disegno di Putin svanisce perché fallisce l’occupazione dell’Ucraina e, di conseguenza, crolla l’ambizione neo-imperiale di Putin. Se, invece, Putin riesce a vincere, il suo slancio è destinato a minacciare i Paesi vicini dell’Ucraina e a rafforzare la capacità della Russia di modificare, a proprio vantaggio, l’equilibrio della sicurezza in Europa. La Russia potrebbe fare ancora molto: completare l’invasione della Georgia, aggredire la Moldavia, tentare di riunificare con la Russia l’exclave di Kaliningrad. Ci sono azioni molto aggressive sul piano militare che la Russia vuole fare e che non possiamo escludere che avvengano se Putin dovesse prevalere in Ucraina. Tutto dipende, appunto, dalla capacità dell’Ucraina di difendersi, dalla tipologia e dall’efficacia dell’aiuto che le democrazie stanno dando a Kiev. La cosa più importante è che le democrazie restino coese nel sostegno al popolo ucraino che si sta battendo per la sua libertà e indipendenza.
Che differenza può fare il fattore religioso nel confronto tra Russia e Occidente?
C’è una dimensione religiosa nell’offensiva di Putin contro l’Ucraina che spesso sfugge a noi occidentali. Il leader russo ha indicato, come elemento decisivo nell’aggressione, la scissione all’interno della Chiesa ucraina che ha portato la Chiesa ortodossa ucraina a scegliere la fedeltà alla Chiesa d’Occidente e non alla Chiesa d’Oriente cioè al Patriarcato di Mosca. Se a questo aggiungiamo che il patriarca di Mosca, Kirill, è il migliore alleato di Putin, e se teniamo conto della terminologia che Putin usa nel descrivere la decadenza dell’Occidente, possiamo evincere che Putin si senta interprete di quella che lui ritiene la vera e ultima dimensione del cristianesimo. Cioè Putin pensa che la Chiesa d’Occidente abbia tradito il suo mandato, che sia degenerata, travolta dai valori dell’Occidente: dai diritti di genere ai diritti delle donne, dalla nuova dimensione della famiglia alla libertà d’opinione e all’informazione. Pensa che la vera Chiesa delle origini resista solo nella Chiesa ortodossa russa e, dunque, vede nel putinismo una dimensione religiosa di riscatto della «terza Roma» e dell’antica Costantinopoli nei confronti della Chiesa di Roma. Questa dimensione è strategica nel linguaggio di Putin, e deve dare a tutti noi la sensazione di quanto sia millenaristica ed epocale la sfida che lui ha lanciato sull’Ucraina. Non punta solamente a conquistare l’Ucraina e a cambiare l’equilibrio della sicurezza in Europa. Putin vuole travolgere il modello culturale dell’Occidente che ritiene decadente a causa, secondo lui, della decadenza della Chiesa d’Occidente.
L’imperialismo cammina spesso a fianco del colonialismo. Al netto delle oggettive responsabilità storiche dell’Occidente, l’odierno imperialismo economico e militare in Africa ha due protagonisti assoluti: Russia e Cina. Ma i suoi effetti, cioè le migrazioni di masse di disperati verso l’Europa, si stanno rivelando come un’arma usata da Mosca e Pechino contro l’Occidente.
La sfida di Russia e Cina è diversa. Non sono alleate, ma hanno interessi convergenti. La sfida, soprattutto della Russia, nei confronti dell’Occidente è ibrida: il suo intento è cambiare l’equilibrio della sicurezza in Europa, mettere sotto pressione il vecchio continente e le sue alleanze, l’Unione europea e la Nato con tutti gli strumenti a disposizione: quelli militari li vediamo in Ucraina, e poi ci sono i flussi migratori che costituiscono l’elemento di maggiore vulnerabilità poiché toccano le singole nazioni europee, innescano dinamiche nazionali difficili da gestire, mettono in difficoltà i governi, isolano l’Ue, spingono i Paesi alleati a litigare tra loro. Quello delle migrazioni è uno strumento di guerra asimmetrica che la Russia è in grado di utilizzare con efficacia per il semplice fatto che si è insediata nel Sahel, con l’intervento nel 2017 in Cirenaica e il sostegno al generale libico Haftar, ma soprattutto con l’intervento nella Repubblica Centrafricana, dove la brigata Wagner ha un ruolo fondamentale per il mantenimento della sicurezza, e in Mali, dove l’arrivo dei russi ha portato alla fuoriuscita dei francesi e sta ponendo degli interrogativi su quanto sta avvenendo nelle cellule islamiche che operano in quel Paese e che hanno un ruolo nella gestione dei profitti che provengono dalle migrazioni. La Russia ha voce in capitolo sulla rotta dei migranti che dal Sahel raggiunge la Libia attraverso il Mali e il Niger.
La Russia sta usando questa rotta per mettere sotto pressione l’Europa?
Noi non abbiamo le prove che la stia usando, ma il fatto che prima dell’aggressione all’Ucraina abbia lasciato arrivare i migranti dal Medio Oriente fino alla Bielorussia per premere sui confini della Polonia, ci dice che Putin è consapevole che può usare i migranti per mettere l’Occidente sotto pressione. Poi c’è un secondo aspetto: i migranti innescano nei nostri Paesi delle dinamiche che favoriscono i partiti populisti, i partiti della protesta, quelli che dall’estrema sinistra all’estrema destra, per ragioni diverse, disprezzano la democrazia rappresentativa. Queste forze estreme guardano ai regimi forti, cioè guardano alla Russia. Il fattore africano costituisce ormai una questione di sicurezza per l’Europa intera. Nell’ultimo vertice della Nato, che si è svolto a Madrid, ha iniziato a operare la distinzione di «Mediterraneo allargato» per definire una zona di sicurezza che inizia dal Sahel e che comprende l’Europa intera, al centro della quale c’è l’Italia.
Oltre l’Ucraina, anche il Medio Oriente può essere investito da questa nuova dinamica di scontro neo-imperiale tra Cina, Russia e Occidente?
Il Medio Oriente è l’area dove la Russia ha più efficacemente rafforzato il proprio ruolo e i propri interessi. È presente in Siria, nei porti come nei cieli. Il presidente siriano Assad è un’espressione dell’alleanza con la Russia, la quale ha un rapporto strategico molto forte anche con l’Iran, che va dallo sviluppo del programma nucleare iraniano alla fornitura di armi alla Russia, da parte di Teheran, nella guerra in Ucraina. Ma la Russia ha anche un patto strategico non dichiarato con Israele, che si articola su misure di sicurezza concordate che consentono a Israele di operare contro Hezbollah, utilizzando lo spazio aereo della Siria. Se aggiungiamo a questo il legame che la Russia ha costruito con l’Iraq nella lotta contro il Daesh, e quello con la Turchia di Erdogan fino al punto da fornirle i missili S-400 nonostante l’opposizione di Washington, e che, facendo leva su Haftar, Mosca ha cementato il rapporto con Il Cairo fino a condurre manovre militari congiunte con l’esercito dell’Egitto – Paese che con Israele è la nazione più fortemente alleata degli Stati Uniti in questa regione – comprendiamo che stiamo parlando di un angolo di mondo in cui, prima dell’intervento in Ucraina, Putin ha rafforzato di più la propria presenza. Poi la guerra in Ucraina ha indebolito gli asset e la proiezione della Russia nella regione. Ciò ha consentito agli Stati Uniti di riconquistare terreno, seppure lentamente. Ma è ancora una roccaforte di interesse russo. Altra questione è invece la penetrazione cinese. Pechino investe sugli aspetti commerciali più che su quelli politici e strategici. E sta costruendo una rete formidabile di infrastrutture terrestri e marittime in Medio Oriente, dall’Arabia Saudita all’Iran, dalla Giordania a Israele. Quest’ultimo è il Paese più legato alla Cina. Israele è l’unico Paese al mondo dove i cittadini cinesi possono investire privatamente.
Il terzo fronte caldo anti-europeo, dove la Russia può alimentare il fuoco delle tensioni politiche e sociali, è rappresentato dai Balcani occidentali.
Se la guerra in Ucraina continuerà e se Putin rimarrà al potere, non possiamo escludere che giochi ogni carta in suo possesso per mettere in difficoltà l’Europa. Le carte che ha a disposizione sono la Libia (per i profughi) e la rotta balcanica, dove ha due leve: la tensione tra Kosovo e Serbia, poiché non c’è un accordo di pace, e poi la situazione in Bosnia, dove i serbi-bosniaci si sono fatti un loro esercito e vogliono essere indipendenti da Sarajevo in violazione agli accordi tra le tre etnie che compongono Bosnia ed Erzegovina. I serbi di Bosnia guardano a Mosca. La soluzione per tentare di disinnescare queste tensioni, credo sia l’accelerazione dell’allargamento dell’Unione europea a tutti i Paesi dei Balcani occidentali.
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