Ho trovato Dio attraverso i suoi poveri
«La Chiesa cresce per attrazione, non per proselitismo»: queste parole di Benedetto XVI, ripetute anche da papa Francesco, trovano conferma nella vita di Dorothy Day, nel suo cammino dall’ateismo alla fede. In questo testo, edito nel 1938, Dorothy si rivolge al fratello – e con lui ai suoi compagni di Sinistra – per spiegare il motivo della sua scelta di abbracciare la fede cattolica, prima della fondazione del movimento «Catholic worker movement».
La sua esistenza è ripercorsa a partire dall’infanzia, rintracciando i segni della presenza di Dio, soprattutto nella vita delle persone che incontra e nelle esperienze di cui è partecipe: la preghiera della madre di un’amica, il periodo di iniziazione cristiana con gli episcopaliani, l’amicizia con persone come Rayna, esempio di gioia e di amore per la verità. Il rapporto di Dorothy con la religione è conflittuale, in quanto si sente respinta e non a suo agio nella Chiesa, soprattutto perché i cristiani che incontra sono spesso privi di vitalità e gioia nella loro pratica; cerca quindi una via personale della religione, fino a separarsene, cogliendola come una «stampella per i deboli».
La sua attenzione è rivolta ai poveri e alle ingiustizie da loro subite, ed è vissuta anche attraverso la sua professione: è giornalista, infastidita dal fatto di dover sottolineare «il lato più oscuro della vita, ignorandone tutti i raggi di luce», e lavora un anno come infermiera, sperimentando la vita ordinata e regolata dell’ospedale. Ma il ricordo di Dio e altre «cose belle» la inseguono per anni: dà loro spazio, iniziando a frequentare la Chiesa, finché nasce sua figlia. È un tempo in cui inizia a pregare, «in gioiosa gratitudine» si rivolge a Dio, che sente di aver davvero incontrato attraverso la gioia, non attraverso il dolore.
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