La favola dello smartphone

Un computer in tasca! All’inizio tutti in famiglia rimasero meravigliati dalla novità, salvo accorgersi poco tempo dopo che non è tutto oro quel che luccica. La fine di questa storia speriamo non sia solo frutto di fantasia.
16 Novembre 2024 | di

Tanti anni fa arrivò nelle famiglie una novità tecnologica che sulle prime destò stupore, ma che progressivamente divenne oggetto del desiderio infantile (e non solo): lo smartphone, un vero e proprio computer che si poteva tenere in tasca, nella borsa, ovunque. Internet e i social divennero accessibili in meno di un secondo in qualsiasi momento del giorno e della notte. Fino ad allora, la tecnologia familiare era ferma al computer fisso, in genere posto in un luogo specifico della casa e che poteva essere utilizzato solo grazie a una password che i genitori custodivano gelosamente. Non erano pronti. Il «coso» si intrufolò rapidissimamente tra le pieghe di una fragilità educativa che aumentava di giorno in giorno. 

Le campagne mediatiche finanziate dai colossi del digitale furono spietate. Vennero ingaggiati attori e attrici, presentatori e presentatrici, sportivi, per convincere papà, mamme e nonni che quello era il regalo giusto per la Prima Comunione, o eventualmente per la Cresima. A tamburo battente, il messaggio dell’ondata pubblicitaria divenne: «I bambini devono essere touch», ossia utilizzare le dita non più per toccare la concretezza degli elementi che stavano attorno a loro, ma la superficie liscia di un videoschermo. Li definirono nativi digitali, come se il loro cervello più che neuroconnessioni e sinapsi contenesse chip e circuiti. Vennero aizzati contro i genitori: «Sono l’unico in tutta la scuola che non ha il telefonino. Volete che mi escludano e mi isolino?». Il tema dell’isolamento divenne decisivo per l’acquisto: nessuno voleva che il proprio figlio o la propria figlia restasse ai margini della vita sociale, della compagnia, della classe e della scuola. Non c’erano alibi alla necessità di avere il «coso».

Dopo qualche anno, la situazione nelle famiglie precipitò: l’isolamento che ci si proponeva di evitare con l’arrivo dello smartphone diventò la conseguenza dello smartphone stesso. Improvvisamente, tanti ragazzini e ragazzine, chiusi nelle loro stanze, iniziarono a trascorrere tutto il loro tempo libero in compagnia di questi aggeggi. Molti di loro anche di notte. Finché si isolarono dal resto del mondo, a volte anche dal resto della famiglia. Chi lo avrebbe detto? Quello strumento che aveva promesso di collegare tutto e tutti era, al contrario, diventato un oggetto per scollegarsi da tutto e tutti.

A quel punto, scienziati, specialisti, educatori, artisti, insegnanti, tanti genitori si unirono per dire basta. Per salvare questi ragazzi e ragazze che si erano persi, come Pollicino nel bosco, ma senza briciole per poter tornare indietro. Si intravide una luce. Fu stabilita un’età giusta per poter usare questi strumenti, così come si era definita un’età giusta per guidare il motorino, per guidare l’auto, per acquistare alcol e tabacco. Questa età fu posta a 14 anni per l’uso dello smartphone e a 16 per l’uso dei social. Fu una piccola rinascita. Bambini e bambine, ragazzi e ragazze tornarono a giocare, a fare gruppo, a incontrarsi, a vivere una vita reale e non più una vita virtuale. Fu meraviglioso ritrovarsi dopo tanto isolamento. E fu una grande festa.

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Data di aggiornamento: 16 Novembre 2024
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