La forza di Gioconda
Sono innamorato di Gioconda. Di Gioconda Belli. Il che vuol dire che sono innamorato di una poetessa i cui versi commuovono, incoraggiano, possono perfino cambiare la vita di chi legge le sue parole. Sono innamorato di una rivoluzionaria, di una donna che è scampata alla morte (erano in dieci gli uomini e le donne del suo gruppo durante il tempo della rivoluzione sandinista: ne sono sopravvissuti solo due), di una donna che ha amato gli uomini, di una femminista che ha sfidato le convenzioni del suo Paese centroamericano, di una scrittrice che ha scritto libri superbi. Ha conosciuto l’esilio da ragazza. E adesso, ancora più terribile, lo sta conoscendo di nuovo, nella metà dei suoi 60 anni. È stata cacciata dal suo Paese, il Nicaragua, l’hanno privata anche della nazionalità, di ogni bene materiale (le hanno confiscato la casa e ogni avere, i libri, ogni ricordo). Eppure è una donna forte, una mujer fuerte. Lo scorso anno, dicembre 2023, ha vinto il Premio Reina Sofia, il riconoscimento più prezioso per la poesia latinoamericana. Ha trovato asilo e un’ennesima nuova vita a Madrid. Ha lottato e combattuto da ragazza contro una feroce dittatura e adesso continua la sua battaglia per la libertà contro la pazzia di suoi antichi compagni di rivoluzione. Accade quasi sempre: le rivoluzioni più sorprendenti e giuste finiscono in una tragedia. Vengono tradite.
A febbraio ho passato con Gioconda due giorni, tra il Friuli e la Slovenia, e ho visto l’affetto delle donne, dei ragazzi e delle ragazze, degli studenti e delle studentesse. Ho visto l’ammirazione dei professori delle università. Trecento persone hanno fatto la coda pur di assistere a un suo incontro a Pordenone. Alla fine, dopo l’ultima poesia, vi era commozione e passione. Trecento persone per una poetessa nicaraguense. La sua vita è stata dura e meravigliosa. Ha pianto molto, ha riso molto. Ha conosciuto l’ebbrezza di aver contribuito a cambiare il mondo. E l’amarezza di una disillusione. Con i suoi anni e la sua storia personale, questa donna è infaticabile. I suoi capelli sono ancora una medusa aggrovigliata. Non si può nascondere, Gioconda. Non vuole nascondersi. La intravedo da lontano mentre è seduta al bar dell’aeroporto. Ci eravamo salutati e abbracciati due giorni prima. Ci ritroviamo, perché lei «si vede» in mezzo alla folla. Avrei voluto chiederle come aveva fatto a non farsi scoprire negli anni della clandestinità.
Non ho mai fatto il giornalista con lei. Eppure per anni ci siamo incontrati a Granada. Il nostro primo incontro fu maldestro, a Granada, nel caos festoso e disordinato del più bel festival di poesia del mondo, mi avvicinai imbarazzato: «Vengo dall’Italia, sono un giornalista, possiamo vederci per una intervista?». Non credo che le sfiorò, nemmeno per un istante, l’idea di darmi questa possibilità. Venne inghiottita da un pulviscolo di ragazzi felici di essere a un metro da lei. Sorrise: «Domani torno a Managua. Non ho tempo». E sparì. Questa volta ho un incarico. Devo intervistarla. Me lo chiede, solo alla fine di un’intera giornata passata con lei, questa rivista. Penso: «Una rivista francescana mi domanda un’intervista a una scrittrice laica e rivoluzionaria». Ne sono felice, ma, come sempre, non c’è tempo. E allora, la mattina dopo, la raggiungo, quasi senza preavviso, in albergo. C’è la Rai, c’è una fotografa brava e timida, un cameraman musone, gli amici e le amiche, lei è stanchissima e sorridente. Seduta su un divano rosso.
Come avete capito, io ho una strana familiarità e, oso dire, amicizia con Gioconda. Ci siamo incontrati diverse volte. In Nicaragua, in Italia. Abbiamo pranzato, cenato, una volta perfino quasi ballato assieme. Non ho fatto il giornalista. Sono quasi sempre stato in silenzio. Parlavo di più con suo marito, Carlos. Io mi sforzavo nel mio spagnolo zoppicante, lui usava l’italiano delle sue origini. Una volta mi disse: «Ho ascoltato mille volte Gioconda leggere le sue poesie e tutte le volte mi emoziono». Per lei, Carlos fu «il porto delle sue tempeste». Questa volta ho davvero un incarico. E tiro fuori quel che rimane della mia professionalità. Mi siedo sul divano rosso, passo davanti alla giornalista Rai, Gioconda capisce la manovra e si avvicina. È paziente. Una volta ho scritto un «racconto» su di lei, pubblicato su una piccola antologia a lei dedicata. Lei ha scritto la prefazione al mio libro attorno ai poeti del Nicaragua.
Ho due curiosità. In realtà ne avrei mille, ma quelle le riservo al nostro sfiorarsi per il mondo. Vorrei anche chiederle di questi due anni di esilio, di questa ultima, immagino durissima, storia della sua vita: cacciata dalla sua terra. Una volta mi disse: «Senza il Nicaragua, la mia vena si esaurisce. Ho bisogno dei suoi odori, del vento, della sua energia. La sua pioggia mi ha aiutato a scrivere poesia». E adesso c’è un oceano tra lei e il suo Paese, nel quale non può rientrare. Per la prima volta nella mia vita professionale uso il cellulare come registratore. Tutte le mie interviste sono sempre state un esercizio da saltimbanco della memoria: afferravo una parola del mio interlocutore e poi vi scrivevo attorno. Non erano vere interviste. Nemmeno questa lo è.
Le chiedo di Sheynnis Palacios. Sheynnis è una splendida ragazza nicaraguense di 23 anni. «Bellissima» mi dice Gioconda. Tanto bella che, a dicembre, ha vinto il concorso di Miss Universo. «É superintelligente» mi dice ancora Gioconda con occhi allegri. Difficile da capire per noi europei per lo più insensibili a Miss Universo. Ma in Nicaragua è entusiasmo di popolo. Vincere quel titolo equivale ad aver vinto il campionato mondiale di calcio. E se poi Sheynnis indossa un abito bianco e azzurro, se poi salta fuori una sua foto del 2018 nella quale impugna una bandiera contro la tirannia nel suo Paese, Sheynnis diventa un’eroina popolare. Un’icona. «La bandiera bianca e azzurra è il simbolo della ribellione contro la dittatura – mi dice Gioconda –. E il popolo di Managua, nella notte della vittoria di Sheynnis, è sceso in piazza e ha riempito le strade con questi colori». La femminista Gioconda ha davvero occhi allegri al pensiero di Miss Universo. Sheynnis non è tornata nel suo Paese. I responsabili nicaraguensi del concorso sono stati destituiti e, a loro volta, esiliati. Proibiti altri festeggiamenti. «È la pazzia del nostro Paese» si lascia andare Gioconda. Io penso a un’altra donna nicaraguense bellissima: Bianca. Deve essere coetanea di Gioconda. Da ragazza andò a Parigi per fare la modella. Incontrò Mick Jagger e lo sposò. Divenne Bianca Jagger. Oggi anche lei è sulle barricate dell’opposizione alla tirannia nicaraguense. Un Paese folle, sì.
A gennaio, il governo di Managua (in realtà è il potere personale di Rosario Murillo, moglie di Daniel Ortega, il presidente, ex-compagno di quella rivoluzione sandinista di cui Gioconda Belli faceva parte) ha deciso l’espulsione e il nuovo destierro (la privazione della nazionalità) di due vescovi e di altri diciassette tra seminaristi e sacerdoti. Monsignor Álvarez è il più conosciuto: è stato imprigionato per 528 giorni e aveva già rifiutato una espulsione quasi due anni fa. È l’ultimo atto di una «guerra personale» di Rosario Murillo contro la Chiesa cattolica. «È la sua vendetta – mi dice Gioconda –. La Chiesa cattolica è stata a fianco degli studenti e della gente che, nel 2018, si ribellò alla tirannia. Ha protetto, offerto rifugio e asilo, ha trattato con il governo. Era intollerabile per Daniel Ortega e soprattutto per sua moglie».
Il Nicaragua era un Paese cattolico. Una parte importante della Chiesa, negli anni ‘70 del secolo scorso, aveva appoggiato la rivoluzione sandinista (anche se allora le massime autorità ecclesiastiche si schierarono contro la rivoluzione). Negli ultimi anni, il governo Ortega/Murillo ha favorito la penetrazione delle chiese evangeliche. Che si sono diffuse nel Paese e nel Centroamerica. «Credo che Rosario voglia creare una sua chiesa – avverte Gioconda –. Ogni giorno, a mezzogiorno, lei interviene alla radio e, negli ultimi tempi, sostiene che è possibile un contatto diretto con Dio, senza preti o vescovi. Anni fa, lei era una new age, seguace del predicatore indiano Sai Baba, poi, per ragioni politiche, si convertì al cattolicesimo. Non era una vera conversione, volevano vincere le elezioni in un Paese cattolico. Ora lei sogna una sua religione, vuole essere il canale tra la gente e il divino». Da qui, la repressione della Chiesa cattolica. «I pulpiti erano il solo luogo di libertà del Paese». Non ci sono più voci dissidenti. Niente giornali, niente televisioni, social controllati. «Monsignor Álvarez era popolare, appariva in televisione, appassionava il popolo. Era pericoloso per il regime. La prigione non lo aveva piegato. Non potevano ucciderlo, dovevano liberarsene».
L’esilio è il destino di chi si oppone al potere in Nicaragua. Sono oltre duecento gli uomini e le donne private della nazionalità. Hanno separato famiglie dai figli, impedito a un uomo di 85 anni di rientrare nel suo Paese. Gioconda è stata sorpresa dall’espulsione mentre già era fuori dal Paese, mentre era in viaggio. Si è ritrovata, dal 5 maggio del 2021, priva di tutto. Con una semplice valigia in mano e gli abiti troppo leggeri. «È stata molto dura», solo per un secondo il suo sguardo diventa vuoto. Il pensiero a chi non ha la rete della sua fama letteraria a proteggerlo. «È stata dura – ripete –, ma è stato un anno di impegno e forza. Ho vinto premi, mi invitano ai festival, rilascio interviste. Lotto. Sono una delle voci che gridano per la libertà del Nicaragua».
Despatriada
No tengo donde vivir.
Escogí las palabras.
Allá quedan mis libros,
mi casa, el jardín, sus colibríes.
Las palmeras enormes,
las apodadas Bismarck
por su aspecto imponente.
No tengo donde vivir.
Escogí las palabras.
Hablar por los que callan,
entender esas rabias
que no tienen remedio.
Se cerraron las puertas.
Dejé los muebles blancos,
la terraza donde bailan volcanes a lo lejos,
el lago con su piel fosforescente,
la noche afuera y sus colorines trastocados.
Me fui con las palabras bajo el brazo.
Ellas son mi delito, mi pecado,
ni Dios me haría tragármelas de nuevo.
Allí quedan mis perros Macondo y Caramelo,
sus perfiles tan dulces,
su amor desde las patas hasta el pelo.
Mi cama con el mosquitero,
ese lugar donde cerrar los ojos
e imaginar que el mundo cambia
y obedece mis deseos.
No fue así. No fue así.
Mi futuro en la boca es lo que quiero,
decir, decir el corazón,
vomitar el asco y la ranura.
Queda mi ropa yerta en el ropero,
mis zapatos mis paisajes del día y de la noche,
el sofá donde escribo,
las ventanas.
Me fui con mis palabras a la calle.
Las abrazo, las escojo.
Soy libre,
aunque no tenga nada.
Gioconda Belli
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