Senza cedere alla paura

Antonio, recandosi a parlare con il tiranno Ezzelino, che affamava Padova e le città vicine, ebbe il coraggio di opporsi a un potere violento e malato. Un po’ come hanno fatto tante persone di buona volontà che hanno saputo dire «no» alle mafie.
14 Luglio 2022 | di

Non era stata una gita scolastica come tante altre quella che Luca aveva organizzato quell’anno, per la quinta B e la quinta C. Insegnava religione presso l’Istituto di ragioneria da quando aveva avuto il suo primo incarico e finalmente, dopo una serie infinita di richieste, era incredibilmente riuscito a portare i ragazzi delle due quinte a Palermo. Il desiderio era soprattutto quello di visitare i luoghi lacerati dalla mafia, come Capaci, e di incontrare situazioni di rinascita e di lotta contro «Cosa Nostra», uno dei temi «caldi» di cui parlava spesso a quei ragazzi. Gli era sempre sembrato uno dei più bei modi di mostrare loro come il Vangelo si facesse carne in tutte quelle persone che combattevano un potere occulto che distruggeva non solo i singoli, ma l’intero tessuto sociale. E loro ascoltavano con un’attenzione e una passione per la verità e la giustizia che lo aveva sempre commosso.

Così era nata quella gita e il programma dunque prevedeva, oltre alla visita ai principali monumenti della città, anche un incontro con l’associazione «Addiopizzo» che lottava da anni contro il racket delle estorsioni mafiose; una visita a Capaci, dove si era consumata la strage del giudice Falcone con la moglie Francesca Morvillo e la sua scorta; e infine un passaggio nel quartiere Brancaccio, nel quale ancora si può vedere il punto in cui don Pino Puglisi, il beato don Pino Puglisi, aveva accolto i suoi assassini con un sorriso e la frase: «Me l’aspettavo».

Già il pomeriggio del primo giorno i ragazzi erano andati alla sede centrale di «Addiopizzo» e avevano ascoltato le parole di un volontario che, dopo averli fatti sedere in cerchio, aveva spiegato loro come tutto fosse nato il 29 agosto del 2004, giorno dell’anniversario dell’uccisione di Libero Grassi, quando Palermo si era svegliata interamente tappezzata di adesivi con su scritto: «Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità». E l’iniziativa era stata proprio di alcuni ragazzi… Così, appena un anno dopo, era sorta una vera e propria associazione, con tanto di Manifesto e più di 3.500 sottoscrittori, i quali, insieme, dicevano «no» all’estorsione continua da parte dei mafiosi, il «pizzo» appunto, e chiedevano a tutta la popolazione di credere in un’economia legale, cambiando le proprie abitudini e facendo i propri acquisti solo in quei negozi che si erano ribellati al sistema mafioso. t

Insomma, era nata una vera e propria rivolta dal basso contro il potere occulto della mafia, che si andava ad aggiungere alla lotta istituzionale luminosa di giudici come Falcone e Borsellino, e di tanti loro colleghi della magistratura e delle forze dell’ordine, vittime a loro volta di una violenza mortale, che seguiva leggi autonome di strapotere e sopraffazione. Dopo avere ascoltato, dunque, i ragazzi avevano fatto tanti interventi. Alcuni di essi, però, erano rimasti anche molto perplessi, con domande inespresse nel cuore: «Ma erano matti quelli? E se con il tritolo gli facevano saltare il negozio? E se sparavano ai loro figli mentre andavano a scuola, passando con un motorino e il mitra? Non sarebbe stato meglio pagare e starsene almeno un po’ più sicuri? Tanto qui ormai l’andazzo era quello, non si poteva cambiare».

Così, risalendo sul pullman che li avrebbe portati verso Capaci a vedere il punto in cui era avvenuta la strage, il clima era abbastanza pesante. Seduto sul suo sedile, Luca guardava la collega, che aveva capito come lui che tensione vivessero alcuni ragazzi e come il clima fosse davvero cambiato dopo l’intenso incontro con il volontario di «Addiopizzo». Si parlarono sottovoce e decisero di non intervenire: prima o poi i ragazzi stessi avrebbero affrontato l’argomento. Arrivarono quindi a Capaci. Il recente monumento sull’autostrada, che riporta i nomi dei caduti, il fatto di calpestare il luogo stesso in cui erano saltati per aria quegli uomini a causa degli oltre cento chili di tritolo nascosto ai margini della strada, tutto aveva dell’incredibile e si collegava alle parole ascoltate dai ragazzi appena poche ore prima ad «Addiopizzo».

Davide, uno degli studenti, avvicinatosi al prof calcandosi bene gli occhiali da sole sul naso per nascondere la commozione, gli disse: «Ha sentito? Il volontario di prima ci ha riportato quella frase del giudice Falcone… Mi ha colpito. Diceva che “l’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, ma è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio, ma incoscienza”. L’ho imparata a memoria, prof. Lui sì che aveva capito come si fa a vivere e da che parte sta la giustizia!». Il professore si girò. Non si era reso conto che attorno a lui e a Davide si fosse creato un cerchio di dieci e più ragazzi, anche dell’altra classe, che avevano ascoltato le parole di Davide. Uno provò a fare un applauso, per sdrammatizzare, mentre il vicino gli dava una gomitata: «Stai zitto, scemo, ha detto una bella cosa!».

Fu lì che Giada, una delle ragazze più attente della quinta B, disse: «Beh, anche padre Puglisi diceva che se “Ognuno fa qualcosa, si può fare molto”. Io credo che per dire queste parole nel quartiere malfamato di Brancaccio ci volesse lo stesso coraggio di cui parla Falcone. Ma Puglisi cercava anche di far capire che quel coraggio possiamo averlo tutti contro la corruzione e la cultura di morte che tante volte incontriamo anche noi!». Dopo poco, il pullman si fermò in un baretto lungo l’autostrada per una sosta, e lì, di nuovo, si formarono tra i ragazzi capannelli che pian piano divennero uno unico, sempre più ampio. «Ma insomma, prof, perché uno se la deve andare a cercare? Paga il suo pizzo e non corre pericoli! In fondo anche molti della Chiesa hanno spesso protetto i mafiosi, o almeno sono stati zitti!».

Erano in due che gli dicevano questa cosa, fissandolo negli occhi. Sara non si fece attendere: «Non è vero! I santi hanno sempre parlato contro il potere che porta la morte… Giovanni Paolo II ad Agrigento, ti ricordi quello che ha detto contro questa cultura di morte? Dai, abbiamo visto il video col prof, quando diceva nel suo discorso: “Lo dico ai responsabili: ‘Convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!’”». «Tutti i santi si sono sempre battuti contro il potere violento che uccide, vi ricordate quando siamo andati in gita a Padova e il frate ci raccontava di come sant’Antonio si fosse scagliato contro il terribile Ezzelino da Romano? Io me lo ricordo bene, mi aveva colpito che avesse sconvolto un tiranno così sanguinario e ne fosse uscito vivo!». Anche Giorgio ora le dava ragione. «Eh dai, ma quelli sono santi… E i poveretti come noi?», fece eco Giulia.

Alla fine, Luca, il prof, prese la parola: «Ma voi credete davvero che solo i santi possano opporsi alla violenza di un potere ingiusto? E allora tutti quei negozianti che hanno smesso di pagare il pizzo che cosa sono? Forse qualcuno di loro era ancora bambino quando Giovanni Paolo II diceva quelle parole, eppure nel momento giusto se le è ricordate». Luca vide qualche sorriso aprirsi e notò come molti dei ragazzi risalivano in pullman strattonandosi, come per giocare. Qualcosa, anche nel loro corpo, sembrava essersi sciolto come per incanto: forse la paura di essere condannati a soccombere. E forse una speranza nuova, a cui non avevano ancora pensato, stava nascendo.

 

Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!

Data di aggiornamento: 14 Luglio 2022
Lascia un commento che verrà pubblicato