Dell’umiltà si è detto molto. Ma spesso, soprattutto al giorno d’oggi, la si dipinge come una caratteristica (non certo una virtù) da rifuggire, tipica di persone rinunciatarie, «perdenti». E invece l’umiltà è tutt’altro, come spiega benissimo il libro di Francesc Torralba Roselló, Umiltà. Una virtù discreta. La parola deriva da humus, terra, e sta quindi a indicare un’attitudine molto concreta, che, appunto, ci «radica» nella vita dandoci una solidità che di rinunciatario non ha proprio nulla.
Tra le nebbie della quotidianità possiamo scorgere dei momenti di luce che invitano alla speranza. Questa raccolta di poesie religiose, molte delle quali diventano preghiera, offre uno sguardo, sul mondo e sugli altri, che cerca la concordia, la fratellanza, la pace. Un modo di parlare della propria fede attraverso la forma espressiva dell’arte poetica, tentativo di dar voce all’incontro tra l’umanità, a volte sofferente ma desiderosa di senso, e Dio che l’accompagna con amore e fedeltà.
Carmen Lasorella non ha certo bisogno di presentazioni: giornalista, anchor-woman del Tg2, inviata di guerra, autrice di reportage, opinionista, saggista, corrispondente da Berlino, direttrice generale di San Marino RTV… e la lista sarebbe ancora lunga. Ma c’è una cosa che Lasorella non aveva ancora fatto: scrivere un romanzo. Racconti brevi sì, ma romanzi no. Ora, con Vera. E gli schiavi del terzo millennio (Marietti 1820), rimedia alla mancanza e lo fa, come si dice, «col botto»: quasi quattrocento pagine di un romanzo in cui gli echi della sua «prima» professione ci sono tutti.
Chi è che non ha mai avvertito il desiderio di scomparire per un po’, di scappare dal rumore del mondo semplicemente per ritrovarsi o per lasciar decantare un evento di quelli che scardinano la vita? «La Silvia», la maestra elementare protagonista dello spettacolare romanzo di Maddalena Vaglio Tanet (classe 1985, di professione scout letteraria, cioè scopritrice di possibili talenti nel campo letterario), non solo avverte questo desiderio, ma decide di darvi seguito.
Parla di dolore e di speranza, di morte e di ricominciamenti. Parla soprattutto di relazioni, Io e Gio, opera prima del giovane (classe 1991) scrittore vicentino Francesco Prosdocimi. Un romanzo che lascia il segno, per lo stile di scrittura limpido, per i dialoghi serrati ed essenziali e per una capacità di sintesi che nulla toglie alla profondità dei personaggi e dei loro sentimenti.