Giorgia, la passione per i dolci
Sul banco del laboratorio c’è un quaderno antico. Pagine consumate, quasi carta velina, calligrafia attenta, precisa, dai tratti infantili. Sono le ricette di dolci, le notazioni per creare torte raccolte, negli anni, dalla madre di Giorgia. Le prime sono state scritte trenta e più anni fa. Non mi stupisco più della passione della figlia. Ha origini e radici profonde.
Giorgia Amicone ha 33 anni. Un vecchio diploma di maturità scientifica. E questa estate, alla sua età, ha preso una secondo titolo di studio: liceo alberghiero. Agli esami ha portato, tra l’altro, i suoi cannoli siciliani, farciti di ricotta molisana e miele. Giorgia è una pasticciera. Di successo. Le ordinano torte per compleanni, matrimoni, comunioni, battesimi, feste paesane. I ristoranti si rivolgono a lei per i loro dolci. E, al mattino presto, chi va al lavoro nei campi o in uffici in città (Isernia è a poco meno di quaranta chilometri) si ferma da lei per un caffè e un cornetto. E allora? Dove sta la storia che regala uno stupore sorpreso?
Esco dal piccolo bar-laboratorio e mi guardo attorno. Una radura come piazza, un tavolo di pietra al centro, un largo cerchio di case, una decina, non di più, una sola abitata. Da una donna anziana e sua figlia. Nessun altro. Ho in mente Bagdad Café, un vecchio film che raccontava di un bar in mezzo a un deserto. Un paio di decenni fa, quando Giorgia era piccola, qui abitavano dodici, tredici persone. Una contrada. Allevatori. Mucche e pecore. Fu il bisnonno a decidere di venire a vivere qui. Il nonno, poi, partì per la guerra nel 1940, e tornò in queste montagne solo sette anni dopo. Decise che la contrada era un buon posto per ricominciare: riuscì a mettere su un caseificio per lavorare il latte delle sue mucche. Civitella, questo il nome della contrada, divenne una fattoria familiare. Giorgia, adolescente, vi si è sentita intrappolata fino a quando non è riuscita ad avere la patente. Appena conquistò la sua libertà di movimento, cominciò ad amare profondamente la sua contrada.
Lentamente gli anziani sono morti, i giovani si sono trasferiti al paese. Si guarda ammirati una catasta di legna da ardere che il padre di Giorgia, Attilio, ha costruito a somiglianza di una piccola cappella di montagna con tanto di campanile. Civitella sorge su un piccolo poggio. Nessuna tabella indica l’esistenza di una pasticceria, dalla strada non si ha alcuna tentazione a deviare verso questo gruppo di case. Attorno: campagna, prateria, bosco che riconquista i pascoli. Il paese più vicino, Vastogirardi, è a quattro chilometri. Capracotta, il secondo comune più alto dell’Appennino, è a dieci chilometri. Poco meno di seicento abitanti nel primo paese, poco più di settecento nel secondo. Anagrafe fasulla: facciamo meno di mille veri residenti in tutto? A essere generosi. Italia interna, Alto Molise, il treno che, qualche decennio fa, si avvicinava a questi paesi (senza raggiungerli) era conosciuto come la Transiberiana d’Italia.
Ripeto: dove sta la storia? Eccola: una giovane e appassionata pasticciera apre il suo laboratorio in contrada Civitella. Chi altro poteva farlo? Chi mai avrebbe compiuto questa follia? «Io sono testarda – ammette Giorgia –. E ci ho creduto». Tra gli anni ’80 e ‘90 del secolo scorso, i paesi di montagna si svuotavano ancora una volta dopo la prima emigrazione del dopoguerra verso le città: si cercava il posto fisso, un impiego pubblico, la certezza di una pensione. Una donna anziana, quando seppe dell’idea di Giorgia, si mise le mani nei capelli e le disse: «Sì matta? Vattinne llunche de ccà». «Sei pazza, vai via da qui». Vai in città.
Scopro che la sorella di Giorgia è datamanager in Inghilterra. Lei, finite le scuole (ogni giorno quasi ottanta chilometri di bus dal paese al capoluogo, andata e ritorno), ha tentato l’università: scienze zootecniche. Mentre la mamma, immagino, preparava dolci per i pranzi delle feste. «E assieme guardavamo le trasmissioni di cucina. Scoprii così il cake design. Era un gioco, mi piaceva. A scuola ho avuto una brava insegnante di educazione artistica: mi divertivo con la plastilina, il Das, l’argilla». Grande e istintivo sapere manuale. Giorgia cambia strada e imbocca il suo sentiero: Scuola di Pasticceria all’Università dei Sapori di Perugia.
Assaggio i suoi biscotti. E penso che dovrebbero venire a fare colazione qui, a contrada Civitella anche i tecnici del «dipartimento per la coesione e il Sud», sono loro a scrivere, nei loro rapporti, che non vi è alcuna possibilità di futuro negli Appennini più belli. Sono certo che Giorgia li convincerebbe a cambiare opinione con i suoi dolci. Vi confesso: ho conosciuto Giorgia perché sono venuto qui a metà giugno, giorno di sant’Antonio, e ho visto che offriva una torta dove vi era disegnata l’immagine del nostro Santo. Non potevo rimanere insensibile.
Non crediate che sia stato un cammino facile: il corso di Perugia è stato eccellente, ma il successivo tirocinio pratico fu una delusione. «Non imparai nulla» ricorda Giorgia. Le offrono un lavoro notturno in un bar alla stazione Termini. Non è il caso. Esita: potrebbe andare a Foligno, ma, alla fine, decide di tornare al paese. La sua fama di pasticciera comincia ad allargarsi, arrivano richieste di dolci. Comincia a gestire un bar, ma è come se si sentisse distratta dalla sua vera vocazione. Vuole imparare ancora. Trova quello che cerca: un bravissimo pasticciere di Termoli, città molisana sul mare, l’accoglie nel suo laboratorio. «Mi si è aperto un mondo» dice Giorgia. Lavora, studia, copia con gli occhi e con le mani, osserva, cerca di conoscere i segreti che il pasticciere le svela giorno dopo giorno. Quando il suo maestro decide che è tempo di ritirarsi e vende la pasticceria, lei si sente pronta. Questa volta torna al paese per restare.
E, giustizia per giustizia, se il «dipartimento per la coesione» sembra non credere nelle aree interne, il progetto di Giorgia (e di sua madre) trova ascolto a Invitalia, l’agenzia nazionale per lo sviluppo. Finanziamento per avviare un laboratorio di pasticceria. Mi piacerebbe conoscere chi lo ha concesso, perché se è venuto a visitare Civitella e ha deciso di dare fiducia a Giorgia, voglio stringergli la mano.
I lavori cominciano nel 2020. Tempismo perfetto: sul mondo, piomba il Covid. «Ok – sorride Giorgia – così abbiamo avuto il tempo di fare un buon lavoro riadattando la stalla di famiglia». C’è qualcosa che ti mette di cattivo umore? «Diciamo, che non so stare ferma. E che cerco di guardare sempre avanti».
La pasticceria, finita la tempesta del virus, finalmente apre. Gli ordini di torte e dolci si moltiplicano; a Natale e a Pasqua, i panettoni e le colombe di Giorgia conquistano sempre più fans, con la buona stagione (breve, da queste parti) si sale a Civitella per festeggiare compleanni, lauree, comunioni. Mentre parliamo arriva una telefonata: un gruppo di quindici persone chiede di venire a fare colazione l’indomani. Ho deciso: domattina passerò di qui, come per caso.
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