La Little Italy di Bedford
A Bedford, a un’ora di treno da Londra, un residente su cinque ha origini italiane. La contea di Bedfordshire ospita infatti una comunità italiana dinamica e ben radicata nel tessuto sociale della città, come dimostrato dalla presenza di negozi e caffè, e di una chiesa dedicata a Francesca Cabrini, la santa patrona dei migranti; ma anche da eventi che omaggiano l’italianità come il Bedford Italian Festival, in programma il 6 luglio prossimo, dedicato alla cultura del Belpaese. Mondo italiano è invece il programma settimanale trasmesso dalla stazione radio locale rivolto alla nostra comunità. Ma perché Bedford è la città più italiana d’Inghilterra, seconda solo a Londra?
Gli italiani cominciarono ad arrivare qui nel secondo dopoguerra. All’epoca l’Italia, stremata dalla guerra, non era in grado di offrire lavoro a tutti, e per molti, in particolare nelle regioni meridionali, l’unica alternativa era quella di espatriare. Fu lo stesso governo dell’epoca, presieduto da Alcide De Gasperi, a incoraggiare gli italiani a lasciare l’Italia, individuando paradossalmente proprio nell’emigrazione una delle condizioni necessarie per la ripresa. Iniziò quella che venne definita l’epoca dell’emigrazione «assistita», con gli Stati europei che stipulavano accordi bilaterali per dirigere e accogliere i flussi migratori. Ci furono trattative con Germania, Francia, Svizzera, Belgio e pure con l’Inghilterra che aveva un disperato bisogno di manodopera nelle fabbriche di mattoni, la materia prima per la ricostruzione del Paese. Tra il 1951 e il 1960 quasi 8 mila giovani disoccupati del Sud vennero mandati nelle città inglesi, sedi delle fabbriche dei mattoni, Peterborough, ma soprattutto Bedford. Venivano reclutati a Napoli, sottoposti a visita medica, e, se idonei, potevano partire con un biglietto pagato di sola andata. Lasciavano casa, famiglia e amici con la speranza che guida tutti i migranti: costruire un futuro migliore per sé e per i propri figli.
Sogni e mattoni
A Bedford, la London Bricks Company gestiva lo Stewartby Village, il più grande complesso industriale dove si producevano mattoni giorno e notte. Nel 1936, al culmine dell’attività, le fabbriche ne sfornavano 500 milioni all’anno! Quegli stessi mattoni di diversi stili e colori che rendono ancora oggi caratteristiche le vie della città. Era un lavoro pesante e a volte pericoloso che gli inglesi non volevano fare. Ecco perché dopo la Seconda guerra mondiale arrivarono tanti stranieri, soprattutto italiani, a offrire manodopera. Le condizioni di vita, specialmente per i primi arrivati, non furono facili. Dopo i turni massacranti gli operai rientravano in ostelli sovraffollati dove veniva distribuito loro del cibo scadente e lontano dalle consuetudini alimentari italiane. Inoltre, a quasi tutti mancava la conoscenza dell’inglese, il che rendeva difficile la comunicazione ed era dunque necessario il supporto di interpreti. Se a questo si aggiunge la nostalgia di casa e della famiglia, non è difficile comprendere lo shock provato dai nostri connazionali a contatto con una cultura molto diversa da quella italiana. La stessa alienazione culturale che ancora oggi avverte chi emigra in Inghilterra, nonostante il mondo interconnesso e globalizzato.
Pur tra mille difficoltà, gli italiani seppero distinguersi per la loro dedizione al lavoro e per la loro abilità manuale. Inoltre, accettavano volentieri di fare straordinari. Molti di loro, infatti, mattone dopo mattone, riuscirono a spedire a casa rimesse sufficienti a sostenere la famiglia o ad accumulare i risparmi per comprare casa a Bedford, mettendo lì radici. Si iniziò pian piano a costituire quella comunità numerosissima che fece di Bedford una Piccola Italia. Hidden voices: memories of first generation of italians in Bedford, il saggio curato dalla storica Carmela Semeraro, rende omaggio proprio a quei primi italiani. Progressivamente i figli e poi i nipoti riuscirono a integrarsi nella comunità cittadina, contribuendo a diffondere l’italianità in vari settori: imprenditoria, politica e cultura.
Accoglienza e integrazione
Quella che era una grande manifattura potrebbe trasformarsi in futuro in fabbrica di intrattenimento. Sono in ballo, infatti, le trattative col governo inglese per la costruzione degli Universal Studios UK, un gigantesco parco divertimenti a tema. Dell’epoca dei mattoni restano solo i resti di un’affascinante archeologia industriale, parte della quale verrà riqualificata per lasciare posto a nuove case e uffici. Bedford rimane comunque esempio di come l’immigrazione possa diventare occasione di ricchezza e trasformazione per le comunità, e ci ricorda il valore dell’accoglienza e l’importanza dell’integrazione. L’Europa del dopoguerra aveva raccolto questa sfida cercando di trasformarla in opportunità di crescita. Oggi, più che mai in questo periodo storico, tocca a noi non perdere di vista il senso della responsabilità fraterna, come la chiama papa Francesco, indicandola come il valore su cui si basa ogni società civile.
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